Personale sanitario in ospedale 

Da sempre uno dei cardini del welfare state italiano, con il Pnrr la sanità si troverà a disposizione ingenti risorse da investire. Il piano europeo stanzia 15,6 miliardi di euro, l’8,2% dei 191,5 miliardi totali, per rafforzare il sistema sanitario nazionale, in particolare con la Missione 6 che punta a finanziare, tra le altre cose, il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità). Il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ha però sollevato alcune perplessità. Il problema, secondo l’esponente del governo, riguarda la spesa: una volta terminati i fondi del Pnrr, i costi per mantenere le strutture sia da un punto di vista energetico che dal punto di vista del personale diventeranno insostenibili. La questione, infatti, è sempre la stessa: il sottofinanziamento del sistema sanitario. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, che ha raccolto i dati sulla spesa sanitaria, la situazione non è così rosea come i numeri potrebbero far pensare. Certo, nel 2023 le risorse per il SSN aumenteranno di 4 miliardi rispetto al 2022, 2 miliardi previsti a legislazione vigente a cui se ne aggiungono altri 2 stanziati dalla legge di Bilancio. Dei fondi ulteriori, la fetta maggiore andrà a coprire i costi dei rincari energetici e (200 milioni) gli aumenti degli stipendi degli operatori del pronto soccorso. Tuttavia, nonostante l’incremento consistente di risorse, l’aumento è pari ad appena il 3%, assolutamente insufficiente a compensare l’inflazione (+12%). Considerando la spesa sanitaria corrente di Contabilità nazionale (un aggregato leggermente diverso da quello riportato prima), nel 2023 la spesa, in termini nominali, crescerà di 15 miliardi rispetto al periodo pre Covid, toccando i 131 miliardi di euro. In termini reali, invece, l’aumento degli ultimi anni risulta completamente cancellato dalla fiammata inflattiva e la spesa torna sotto i valori del 2019. Facciamo un passo indietro e guardiamo alle dinamiche dell’ultimo ventennio. Tra il 2000 e il 2023, la spesa sanitaria in termini nominali (ovvero non aggiustata con l’inflazione), è raddoppiata, passando da 68 a 131 miliardi di euro. Se la si considera la netto della crescita dei prezzi, l’incremento si ridimensiona al +19%, assolutamente insufficiente a coprire le esigenze di una popolazione sempre più vecchia: basti pensare che negli ultimi venti anni gli over 65 sono cresciuti di 2,5 milioni. Non solo. L’aumento in termini reali si è registrato nei primi anni 2000. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011-2012, sulla spinta dell’austerità imposta dall’Unione europea, la spesa sanitaria è stata tagliata per poi stabilizzarsi fino al 2020 quando, per effetto della pandemia, è tornata a gonfiarsi. La situazione non cambia se si guarda all’evoluzione della spesa in rapporto al prodotto interno lordo. Anche qui, l’incremento dei primi anni Duemila è estremante significativo: fra il 2000 e il 2009, il rapporto spesa/Pil è salito dal 5,5 al 7,1%. Una crescita concentrata soprattutto in alcune regioni, che spesso sono anche state commissariate o costrette a ripianare. Negli anni successivi si osserva un rientro della spesa che, però, in rapporto al Pil, è rimasta sempre su valori ben più alti di quelli dell’inizio del decennio. Dopo l’impennata del 2020-2021, la riduzione che si è registrata nel 2022 avrebbe riportato tale rapporto attorno al livello del 2009 (7%). Nel 2023, invece, si scenderebbe al 6,6%, che rimane comunque uno dei valori più elevati dell’ultimo ventennio. In base alla legge di bilancio 2023, la riduzione degli stanziamenti per la sanità dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni. Tuttavia, da molto tempo, è invalsa una prassi per cui, ogni anno, con la manovra i governi mettono sul piatto ulteriori risorse rispetto a quanto previsto. Ogni stima su quale sarà l’evoluzione della spesa sanitaria nei prossimi anni risulta quindi molto complicata. Quello che è certo è che una maggiore stabilità negli stanziamenti potrebbe essere utile anche agli operatori che si trovano a dover programmare la propria attività su un orizzonte temporale piuttosto lungo.

Economia

Da sempre uno dei cardini del welfare state italiano, con il Pnrr la sanità si troverà a disposizione ingenti risorse da investire. Il piano europeo stanzia 15,6 miliardi di euro, l’8,2% dei 191,5 miliardi totali, per rafforzare il sistema sanitario nazionale, in particolare con la Missione 6 che punta a finanziare, tra le altre cose, il potenziamento e la creazione di&nbsp;strutture e presidi territoriali&nbsp;(come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità). 
Il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ha però sollevato alcune perplessità. Il problema, secondo l’esponente del governo, riguarda la spesa: una volta terminati i fondi del Pnrr, i costi per mantenere le strutture sia da un punto di vista energetico che dal punto di vista del personale diventeranno insostenibili. 
La questione, infatti, è sempre la stessa: il sottofinanziamento del sistema sanitario. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, che ha raccolto i dati sulla spesa sanitaria, la situazione non è così rosea come i numeri potrebbero far pensare. 
Certo, nel 2023 le risorse per il SSN aumenteranno di 4 miliardi rispetto al 2022, 2 miliardi previsti a legislazione vigente a cui se ne aggiungono altri 2 stanziati dalla legge di Bilancio. Dei fondi ulteriori, la fetta maggiore andrà a coprire i costi dei rincari energetici e (200 milioni) gli aumenti degli stipendi degli operatori del pronto soccorso. Tuttavia, nonostante l’incremento consistente di risorse, l’aumento è pari ad appena il 3%, assolutamente insufficiente a compensare l’inflazione (+12%). 
Considerando la spesa sanitaria corrente di Contabilità nazionale (un aggregato leggermente diverso da quello riportato prima), nel 2023 la spesa, in termini nominali, crescerà di 15 miliardi rispetto al periodo pre Covid, toccando i 131 miliardi di euro. In termini reali, invece, l’aumento degli ultimi anni risulta completamente cancellato dalla fiammata inflattiva e la spesa torna sotto i valori del 2019. Facciamo un passo indietro e guardiamo alle dinamiche dell’ultimo ventennio. Tra il 2000 e il 2023, la spesa sanitaria in termini nominali (ovvero non aggiustata con l’inflazione), è raddoppiata, passando da 68 a 131 miliardi di euro. 
Se la si considera la netto della crescita dei prezzi, l’incremento si ridimensiona al +19%, assolutamente insufficiente a coprire le esigenze di una popolazione sempre più vecchia: basti pensare che negli ultimi venti anni gli over 65 sono cresciuti di 2,5 milioni. Non solo. 
L’aumento in termini reali si è registrato nei primi anni 2000. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011-2012, sulla spinta dell’austerità imposta dall’Unione europea, la spesa sanitaria è stata tagliata per poi stabilizzarsi fino al 2020 quando, per effetto della pandemia, è tornata a gonfiarsi. La situazione non cambia se si guarda all’evoluzione della spesa in rapporto al prodotto interno lordo. 
Anche qui, l’incremento dei primi anni Duemila è estremante significativo: fra il 2000 e il 2009, il rapporto spesa/Pil è salito dal 5,5 al 7,1%. Una crescita concentrata soprattutto in alcune regioni, che spesso sono anche state commissariate o costrette a ripianare. Negli anni successivi si osserva un rientro della spesa che, però, in rapporto al Pil, è rimasta sempre su valori ben più alti di quelli dell’inizio del decennio. Dopo l’impennata del 2020-2021, la riduzione che si è registrata nel 2022 avrebbe riportato tale rapporto attorno al livello del 2009 (7%). 
Nel 2023, invece, si scenderebbe al 6,6%, che rimane comunque uno dei valori più elevati dell’ultimo ventennio. In base alla legge di bilancio 2023, la riduzione degli stanziamenti per la sanità dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni. Tuttavia, da molto tempo, è invalsa una prassi per cui, ogni anno, con la manovra i governi mettono sul piatto ulteriori risorse rispetto a quanto previsto. Ogni stima su quale sarà l’evoluzione della spesa sanitaria nei prossimi anni risulta quindi molto complicata. Quello che è certo è che una maggiore stabilità negli stanziamenti potrebbe essere utile anche agli operatori che si trovano a dover programmare la propria attività su un orizzonte temporale piuttosto lungo.

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