Giovedì 18 Aprile 2024

Inflazione mascherata sugli scaffali. Il prezzo non cambia, la porzione sì

Torna in auge la sgrammatura: lo stratagemma di ridurre il peso dei prodotti per nascondere l’aumento di prezzo

Inflazione e famiglie: quanto pesa l'aumento dei prezzi di marzo

Inflazione e famiglie: quanto pesa l'aumento dei prezzi di marzo

L’inflazione si nasconde, usando un trucco lungamente sperimentato in mercati anche più solidi del nostro. A prima vista, infatti, sembra di non spendere di più ma in realtà si tratta di un’inflazione mascherata. Perché il prezzo è lo stesso ma il peso della pasta, dei gelati, della marmellata e dello yogurt, di formaggi e salumi confezionati o del pacco di caffè, è inferiore. Così come la quantità della carta per la pulizia della casa o il numero dei fazzolettini, il contenuto del flacone di sapone, dello shampoo o del detersivo per la pulizia piuttosto che la quantità di bustine del tè, dei biscotti o delle patatine.

Stiamo parlando di quello che in inglese si chiama "shrinkflation" da shrinkage (contrazione) e inflation (rincaro) e in italiano "sgrammatura". E che significa la stessa cosa: pensare di risparmiare ma in realtà si sta comprando di meno. Come è successo con le colombe pasquali per cui la "sgrammatura" sarebbe stata utilizzata per mascherare un’inflazione che, a causa dei rincari di farina, burro e zucchero, ha fatto lievitare i prezzi del dolce di Pasqua in media del 14% secondo Federconsumatori.

Così l’Unione nazionale consumatori (Unc) ha denunciato che le colombe hanno subito una dieta dimagrante, con confezioni simili a quelle da 1 chilo ma che contengono solo 750 grammi di prodotto. Ridurre il peso è legittimo, a patto però, avverte Massimiliano Dona, presidente Unc, che "non si inganni il consumatore inducendolo in errore rispetto al prezzo effettivamente praticato, falsandone il processo decisionale". Anche perché spesso il peso – primo elemento che dovrebbe servire per controllare la convenienza di un prodotto, confrontando i prezzi al chilo e non quello della confezione – viene "nascosto" nella parte inferiore della confezione, simile a quella precedente. O ridotto solo di qualche decina di grammi: lo yogurt da 175 a 150, la crema al cioccolato da 1 chilo a 975 grammi, la pasta da 500 a 400 grammi, la mozzarella da 125 a 100, il caffè da 250 a 225.

Contro la "sgrammatura", e facendo riferimento in particolare proprio alle colombe pasquali e a un’escalation negli ultimi tempi, l’Unc ha presentato un esposto all’Antitrust chiedendo anche che avvalendosi della Guardia di Finanza si facciano controlli a tappeto per sanzionare i negozianti che omettono di indicare il prezzo per unità di misura, così come prevede la legge. Il trucco della "sgrammatura" – che Dona ha segnalato anche in un’audizione al Senato chiedendo di attivare la Commissione d’inchiesta sui diritti dei consumatori - a dire il vero non è nuovo. Nato negli Usa e denunciato in Europa per prima dall’Istat inglese, è finito anche nel mirino del nostro Istituto di statistica che dal 2012 al 2017 aveva calcolato ben 7306 casi di "shrinkflation" con 11 classi di prodotto interessate con picchi per zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele e cereali ma anche un diffuso ricorso per bibite, succhi di frutta, latte, formaggi, creme e lozioni.

Se non nuova, la "sgrammatura, giustificata dalle aziende anche per i cambiamenti delle ricette (meno zuccheri per esempio nelle merendine o nei biscotti) e da un approccio salutistico, sarebbe aumentata in tempo di rincari delle materie prime e dell’energia per non aumentare troppo i prezzi dei prodotti del carrello della spesa.

Aumentati comunque a marzo secondo l’Istat del 5%. Rincari che stanno portando quasi un italiano su due, sottolinea Coldiretti, ha tagliare i consumi. Ma già un anno e mezzo fa, con la pandemia, Giorgio Santambrogio, ad del gruppo Vègè e vicepresidente di Federdistribuzione, aveva lanciato l’allarme contro quello che aveva definito il virus della "shrinkflation. Una pratica di fatto imposta alla Gdo e per cui almeno servirebbe una maggiore trasparenza comunicativa perché non possono essere i consumatori a pagare il conto.