Il piano degli industriali: 250 miliardi per ripartire

Boccia alla politica: più lavoro, più crescita, meno debito. La ricetta di Confindustria per tagliare le tasse, spingere gli investimenti e creare 1,8 milioni di posti di lavoro

Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria (Ansa)

Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria (Ansa)

Verona, 17 febbraio 2018 - «Siamo qui per cantarle a tanti, e le canteremo». Dal palco delle Assise Generali di Confindustria, davanti alla «platea da concerto rock» dei 7 mila imprenditori accorsi a Verona da tutta Italia, il presidente Vincenzo Boccia le canta alla politica. «Chiediamo che dicano non solo cosa bisogna fare ma come, con quali risorse e con quali effetti». Insomma, «proposte concrete». 

Gli industriali un’idea ce l’hanno, e l’hanno messa nero su bianco in un documento di 26 pagine da consegnare alla prossima legislatura: un piano da 250 miliardi in cinque anni incentrato sul lavoro, la crescita costante e un’Italia «che rassicura, con il graduale rientro del debito pubblico». Con l’obiettivo, ambizioso, di produrre oltre 1,8 milioni di occupati in più, tagliare di 20 punti il rapporto debito/Pil (170 miliardi), raggiungere una crescita cumulata in cinque anni di 12 punti e un incremento dell’export al 34,8% del Pil. Il tutto agendo su sei leve: semplificazione, istruzione e formazione, investimenti, imprese più innovative e stazzate, fisco più leggero ma premiale e maggiore protagonismo in un’Europa più integrata.

E le risorse? «Non è un libro dei sogni», dice Boccia. Circa 120 miliardi potrebbero arrivare dal taglio della spesa pubblica, che non è solo spending review e lotta all’evasione fiscale, ma anche redistribuzione attraverso «la compartecipazione dei cittadini ai servizi offerti in modo progressivo rispetto a reddito e patrimonio», come scuola, università e trasporto pubblico locale, da compensare con un fisco generale più leggero. Altri 93 miliardi potrebbero venire dall’Europa, anche grazie all’emissione degli eurobond, mentre il settore privato sarebbe chiamato a contribuire con 38 miliardi, ad esempio, investendo in asset alternativi come i fondi pensione. Le risorse liberate servirebbero ad alleggerire la pressione fiscale per premiare le imprese che «investono, assumono e innovano», andando avanti sulla strada della riduzione del costo del lavoro e puntando alla decontribuzione triennale totale per i giovani assunti a tempo indeterminato. Un piano per «recuperare buon senso e pragmatismo», per andare avanti e non indietro e, dunque, guai a «smontare le cose che vanno bene, al di là delle ideologie». A partire da Jobs Act e Industria 4.0 ma anche la legge Fornero deve restare in piedi, non certo perché piaccia ma in quanto male necessario.

Realismo, pragmatismo, concretezza sono le parole chiave che gli industriali contrappongono agli slogan «urlati» dai partiti e alle proposte mirabolanti. Siamo «equidistanti dai partiti ma non dalla politica», assicura il leader degli industriali rivendicando «autonomia e indipendenza». Di fronte a lui, 7 mila imprenditori e zero politici, a 15 giorni da un voto che potrebbe portare «confusione e instabilità». «Pochi errori» e il nostro Paese potrebbe tornare «l’anello debole» del mondo con «conseguenze sistemiche» per l’Europa. Un’Europa alla quale gli imprenditori «non chiedono flessibilità né cortesie» ma che non può nemmeno essere l’alibi per «non affrontare la questione italiana». Resta il fatto che «le regole devono essere reciproche e non vanno subite», a partire dalla questione Ema che – come ha chiesto il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi – «va rimessa al centro del dibattito». 

In attesa di avere un nuovo governo (forse) con il quale parlare di proposte concrete, si apre un dibattito nel Paese per riportare al centro l’Italia che produce, imprenditori e lavoratori, spalla a spalla nella sfida della competizione globale. «Non contro qualcuno, ma per l’Italia», ripete ancora Boccia. Cala il sipario, la mobilitazione continua.

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