CERTI VIZI sono duri a morire, difetti di fabbrica che condizionano tutti gli altri ingranaggi del sistema. La pubblica amministrazione continua a pagare sempre più in ritardo le aziende, che oggi vantano crediti per 55,6 miliardi verso Stato ed enti locali. Un triste stato di eccezionalità permanente su cui la Corte di Giustizia europea ci ha già condannato e che fornisce l’esatta misura di quanto fare impresa in Italia sia un’impresa ardua. Per un paio d’anni lo stock di debiti era leggermente diminuito, ma proprio durante il Covid – e cioè quando il sistema economico più aveva bisogno di liquidità – è tornato a salire. Lo Stato in questi due anni ha cercato di attutire i danni, con il debito pubblico che è conseguentemente aumentato di 350 miliardi. Ma i sussidi non sono la panacea. Anzi, se prolungati diventano un danno. Solo per dare una misura: gli ulteriori stanziamenti decisi dal governo nel Dl Aiuti potrebbero essere usati dalle aziende per tappare i buchi dovuti dal mancato pagamento delle fatture, cioè per saldare stipendi, fornitori, perfino acconti di tasse. E comunque non basterebbero, perché nel decreto ci sono 7-8 miliardi, un ottavo dell’ammontare totale dei debiti non riscossi. Insomma, si possono dare tutti i sostegni di emergenza che si vuole, ma se il sistema non funziona si tratta di puri palliativi. L’ambiente economico italico è affetto da diverse patologie croniche: burocrazia, fisco, assenza di infrastrutture. A cui si aggiunge la ‘morosità’ da parte del pubblico. Se è proprio l’amministrazione la prima a non pagare, a dare il cattivo esempio, è chiaro che poi il virus si diffonde più facilmente, mettendo in moto un analogo meccanismo di morosità tra privati. Su circa 140 miliardi annui di commesse pubbliche circa una fattura su tre non viene saldata regolarmente. Un’assurdità se consideriamo che, ...
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