Mercoledì 24 Aprile 2024

Uno Stato ‘cattivo’ pagatore mette in crisi anche il Pnrr

La pubblica amministrazione continua a pagare sempre più in ritardo le aziende

La pubblica amministrazione continua a pagare sempre più in ritardo le aziende

CERTI VIZI sono duri a morire, difetti di fabbrica che condizionano tutti gli altri ingranaggi del sistema. La pubblica amministrazione continua a pagare sempre più in ritardo le aziende, che oggi vantano crediti per 55,6 miliardi verso Stato ed enti locali. Un triste stato di eccezionalità permanente su cui la Corte di Giustizia europea ci ha già condannato e che fornisce l’esatta misura di quanto fare impresa in Italia sia un’impresa ardua. Per un paio d’anni lo stock di debiti era leggermente diminuito, ma proprio durante il Covid – e cioè quando il sistema economico più aveva bisogno di liquidità – è tornato a salire.

Lo Stato in questi due anni ha cercato di attutire i danni, con il debito pubblico che è conseguentemente aumentato di 350 miliardi. Ma i sussidi non sono la panacea. Anzi, se prolungati diventano un danno. Solo per dare una misura: gli ulteriori stanziamenti decisi dal governo nel Dl Aiuti potrebbero essere usati dalle aziende per tappare i buchi dovuti dal mancato pagamento delle fatture, cioè per saldare stipendi, fornitori, perfino acconti di tasse. E comunque non basterebbero, perché nel decreto ci sono 7-8 miliardi, un ottavo dell’ammontare totale dei debiti non riscossi. Insomma, si possono dare tutti i sostegni di emergenza che si vuole, ma se il sistema non funziona si tratta di puri palliativi. L’ambiente economico italico è affetto da diverse patologie croniche: burocrazia, fisco, assenza di infrastrutture. A cui si aggiunge la ‘morosità’ da parte del pubblico. Se è proprio l’amministrazione la prima a non pagare, a dare il cattivo esempio, è chiaro che poi il virus si diffonde più facilmente, mettendo in moto un analogo meccanismo di morosità tra privati. Su circa 140 miliardi annui di commesse pubbliche circa una fattura su tre non viene saldata regolarmente. Un’assurdità se consideriamo che, secondo dati Eurostat diffusi dalla Cgia di Mestre, i debiti di parte corrente della pubblica amministrazione in percentuale al pil sono il 3,1% in Italia contro lo 0,8% in Spagna (un quarto rispetto a noi), l’1,4% in Francia, l’1,6% in Germania (sempre la metà dell’Italia). Perfino la Grecia fa meglio, visto che l’incidenza è l’1,7%. Per quanto riguarda i tempi di pagamento le situazioni peggiori si trovano nei Comuni del Meridione (Lecce, Salerno, Avellino, Reggio Calabria e Napoli), ma anche dalle parti del governo centrale non se la passano poi troppo bene: su 14 ministeri con portafoglio solo due (Transizione Ecologica, Istruzione Università e Ricerca) hanno rispettato le scadenze. Tutti gli altri sono ritardatari, con le situazioni più critiche che riguardano Viminale (+67 giorni in più rispetto alle scadenze, che sono a 30 o 60 giorni), Politiche Agricole (42 giorni), Difesa (33 giorni) e Beni Culturali (21 giorni). Il problema sembra irrisolvibile.

La montagna del ‘dovuto’ era stata leggermente sforbiciata durante il governo Renzi, ma è poi tornata progressivamente a risalire dai 45,2 miliardi del 2017 ai 53,3 del 2020 fino al record dei 55,6 dello scorso anno. Segno che gli interventi fatti a suo tempo non erano strutturali. Nemmeno la circolare della Ragioneria dello Stato del 7 aprile è riuscita a dare una smossa alla situazione. Un provvedimento che, oltre alle regioni etiche, ha una ragione profonda. Il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione rientra tra le riforme concordate con la Commissione europea per l’erogazione dei fondi del Pnrr. Per cui, oltre agli oltre 55 miliardi che mancano nelle casse delle imprese, questo problema ne potrebbe creare un altro ancora più grande: bloccare in tutto o in parte finanziamenti previsti dal Next Generation Eu.

twitter@ecisnetto