Mercoledì 24 Aprile 2024

Una manifattura autonoma, tecnologica e digitale

Una manifattura autonoma, tecnologica e digitale

Una manifattura autonoma, tecnologica e digitale

QUANTO È IMPORTANTE avere una manifattura il più possibile autonoma e sviluppata in ambito tecnologico e digitale: ecco un’altra lezione che arriva dalla guerra in Ucraina e di cui dovremmo fare tesoro, puntando ancora di più sullo sviluppo innovativo della nostra industria. Le sanzioni che il mondo occidentale ha messo in atto dopo l’invasione dell’Ucraina stanno colpendo la Russia in diverse direzioni, riuscendo tra l’altro a bloccare lo sviluppo tecnologico e la modernizzazione del Paese proprio perché la manifattura russa è obsoleta e dipendente dall’estero. A Mosca c’è il razionamento di beni, ma ci sono anche i brand che abbandonano il Paese, oltre che per posizionamento politico, anche perché nel contesto attuale è impossibile operare. In pochi giorni è infatti praticamente saltato tutto ciò che è legato alla tecnologia. Le carte di credito non funzionano più. Produttori di software e hardware come Microsoft e Nvidia hanno ritirato il supporto ai clienti.

Mancano componenti, chip, e tecnologie per stessa ammissione del Cremlino. L’industria dello spazio e i relativi lanci sono stati bloccati, con l’agenzia spaziale russa Roscosmos che si è ritirata dal Centro spaziale in Guyana. Aeroflot e altre compagnie stanno sospendendo i voli internazionali perché le sanzioni proibiscono manutenzione e vendita di ricambi per gli aeromobili. Circola perfino l’ipotesi di nazionalizzare di alcuni negozi (in stile sovietico…), ma sarebbe inutile perché il problema sono le catene di fornitura e l’industria obsoleta. Per dieci anni la Russia ha provato a sviluppare una propria struttura manifatturiera autonoma ma, specie per ciò che riguarda le componenti innovative, con scarso successo. Tanto è vero che nonostante le ricchezze naturali di cui dispone, il Pil totale è pari a quello della Spagna mentre quello pro-capite è al livello della Bulgaria. Non sarà allora un caso che le iniziative tecnologiche siamo rimaste mosche bianche. Per esempio Yandex (il Google della Russia, che copre il 67% del mercato) lo scorso novembre ha presentato il supercomputer più potente del Paese realizzato collegando più di millecinquecento chip della società statunitense Nvidia, che però adesso potrebbe spegnersi per non riaccendersi più. Lo stesso presidente americano Biden ha esplicitamente dichiarato che le restrizioni alle importazioni di tecnologie chiave (microelettronica, dispositivi di telecomunicazione, sensori, avionica) hanno lo scopo di limitare l’accesso della Russia ad aree strategiche della finanza, della manifattura, dell’industria aerospaziale e la modernizzazione dell’esercito per gli anni a venire.

Ora, è ovvio che l’Italia difficilmente potrebbe trovarsi in una situazione simile ma, mutatis mutandis, anche noi soffriamo della carenza di microchip, con contraccolpi sulla nostra industria. I semiconduttori, il cui uso e progressivamente crescente, vengono prevalentemente importati dalla Cina, mentre la produzione europea è calata dal 44% del totale del 1990 al 10% odierno. L’Ue è corsa ai riparti con un piano di investimenti pubblici e sostegno di quelli privati (il Chips Act). Ma non basta. È tutta l’industria che deve spingere, ancora di più sullo sviluppo tecnologico. La manifattura, che è la spina dorsale della nostra economia, cresce e ha futuro se è digitale, 4.0, se accetta la sfida dell’innovazione. E se è il più possibile indipendente. Non dobbiamo avere paura di aiutare, pubblicamente, lo sviluppo di innovazione e tecnologia. Nemmeno di una sua, per quanto possibile, autarchia. È una lezione che ci arriva dalla guerra.

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