Giovedì 18 Aprile 2024

Una Maastricht dell’energia e un’Italia che ricominci a dare gas

Una Maastricht dell’energia e un’Italia che ricominci a dare gas

Una Maastricht dell’energia e un’Italia che ricominci a dare gas

IL SALTO, temporale e logico, è evidente. Da un lato Bruxelles ha avviato una consultazione per capire se gli investimenti su gas e nucleare siano da considerare verdi, con gli impianti che però entrerebbero in funzione solo tra molti anni e le capitali europee che già litigano tra di loro. Dall’altra, dal primo gennaio le bollette della luce sono aumentate del 55% e quelle del gas del 41,8%, nonostante l’intervento da 3,8 miliardi del governo (senza il quale saremmo a +65% e +59%). Ecco, questa crisi energetica, che è globale, ha cause sia temporanee che strutturali e, proprio su di essa, ci giochiamo il futuro del post-pandemia. Non si risolve la questione con consultazioni sulla ‘tassonomia energetica’ o calmierando il costo delle bollette (anche se giustamente il governo starebbe lavorando ad ulteriori stanziamenti): servono risposte più incisive, due in particolare.

La prima, collettiva e internazionale, è una Maastricht dell’energia, perché gli Stati europei condividono problemi simili e un destino comune, per cui più che entrare in competizione tra loro sarebbe razionale che unissero le forze, anzi le energie. La seconda, invece, è nazionale, e risiede nello sfruttare quanto abbiamo a disposizione, fermo, nel sottosuolo. Si dice, l’Italia è un Paese povero di risorse naturali, ma è un luogo comune. A inizio secolo producevamo quasi 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, mentre ora siamo a quattro. Abbiamo più di 92 miliardi di metri cubi di riserve e, anche senza utilizzarle tutte, si potrebbero estrarre 30 miliardi di metri cubi all’anno dal fondo dell’Adriatico per calmierare i prezzi. Tanto più che il costo sarebbe di 5 centesimi al metro cubo, mentre per gli acquisti dall’estero si arriva, per ora, a 130. Un differenziale che pesa sulla nostra industria, con la bolletta per il sistema manifatturiero che è infatti passata dagli 8 miliardi del 2019, ai 21 del 2021, fino alla stima di 37 nel 2022. Giustamente, il governo sta valutando la riapertura di giacimenti chiusi in passato per mere scelte ideologiche fondate sull’illusione che la transizione sarebbe stata una cosa facile, a costi economici e sociali risibili. Purtroppo non è così. E il gas è una alternativa, se non ottimale, certamente tra le più sostenibili.

Oggi con il Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza abbiamo gli strumenti per (ri)finanziare la produzione nazionale di gas, visto che con 2 miliardi di investimenti di potrebbero estrarre 1015 miliardi di metri cubi all’anno per 10 anni. E abbiamo anche il denaro per sviluppare le rinnovabili, a partire da quegli impianti eolici offshore senza i quali la transizione ecologica rimane una illusoria ambizione (purtroppo esiste solo la mosca bianca di Beleolico a Taranto, il primo impianto del Mediterraneo). Bisogna dirlo agli ecologisti ideologizzati: le infrastrutture aiutano l’ambiente. Solo per fare un esempio, l’entrata in funzione del gasdotto che dal Mar Caspio arriva in Puglia – il TAP per anni ostacolato da oltranzisti ambientali – ha consentito un risparmio del 10% sulla bolletta. In questi tempi di rincari, vero e proprio oro colato. Ma c’è anche un tema europeo. Il piano di condivisione degli stoccaggi e degli acquisti che è sul tavolo a Bruxelles potrebbe dare risposte più immediate ed efficaci che non la discussione su cosa è verde e cosa no o sulla ricerca sul nucleare, che pure dobbiamo portare avanti ma che potrebbe dare risultati, forse, solo dal 2045. Soprattutto, se invece di andare ognuno per conto suo, gli Stati membri procedessero verso un’unione energetica.

L’Unione ha un peso economico pari a quello degli Stati Uniti, ma non lo stesso potere negoziale. Se riuscisse a far valere solo una parte di questo “peso”, sarebbe un grande risultato. Lo abbiamo fatto in altri campi – le radici dell’Ue sono nella Comunità del carbone e dall’acciaio – possiamo farlo anche nell’energia. Perché se i singoli Paesi sono squilibrati tra loro, invece le rinnovabili italiane, l’idroelettrico austriaco, il carbone tedesco, il nucleare francese, gli idrocarburi scozzesi, formano a livello continentale un discreto mix, bilanciato e tecnologicamente integrato. La soluzione è metterli insieme, creando una Unione Energetica Europea, qualcosa che stia tra il patto di Maastricht e il piano di unione bancaria, con cui cedere sovranità e unire le forze.

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