Troppi concerti in cartellone Così piange il botteghino

Migration

CINQUANTAMILA PRESENZE sono il risultato con cui è passata in archivio ieri a Milano la settima edizione di JazzMi, 220 concerti diluiti nell’arco di dieci giorni tra città e periferie che lo rendono il festival indoor europeo col maggior numero di proposte in cartellone. Titti Santini è il fondatore e amministratore di Ponderosa Music & Art, l’agenzia che sta dietro a questa e ad altre rassegne di primissimo piano come Piano City, Climat Space, La Musica dei Cieli, con un roster di artisti che va da David Byrne ai Baustelle, da Patti Smith a Dargen D’Amico, Arto Lindsay o Ludovico Einaudi.

Qual è il bilancio economico di JazzMi?

"L’investimento è stato di circa 600 mila euro di cui il 40% coperti da introiti di biglietteria, un 30% da sponsor privati e il resto dagli enti pubblici. JazzMi è ancora troppo giovane per valutarne le effettive ricadute commerciali, anche perché la natura diffusa lo rende, al contrario di altre rassegne, un festival della città per la città".

Bilanci alla mano, quanto contate di tornare ai livelli di tre anni fa?

"Abbiamo chiuso il 2019 con un fatturato di quasi 9.898.926 euro che nel 2020 è precipitato a 1.738.676 euro con una perdita, quindi, di oltre l’82%. Poi le cose sono andate via via migliorando, anche se penso che bisognerà aspettare almeno un altro anno per recuperare tutto il terreno perduto in quanto alla pandemia sono frattanto subentrate altre criticità".

Quali?

"Innanzitutto, il caro alberghi, il caro trasporti e il minor potere d’acquisto da parte delle persone. E poi c’è il sistema dei voucher, che è stato una boccata d’ossigeno per taluni operatori, ma ha pesato sul rapporto di fiducia tra clienti e produttori di eventi. Ora il mondo del live è in ripresa, ma, tolti gli eventi imperdibili, non è facilissimo vendere biglietti. Questo anche a causa dell’altissima offerta".

L’attività di Ponderosa è tripartita tra agenzia, produzione e attività discografica.

"Si tratta di tre attività complementari. Tant’è che l’etichetta è nata per essere di supporto e di servizio ai nostri artisti nella pubblicazione delle loro opere. Multinazionali escluse, infatti, oggi le etichette discografiche fanno fatica a recuperare i costi di registrazione. Noi interveniamo per sostenere quelli di cui curiamo poi anche l’attività live".

Durante la pandemia l’attività di Ponderosa Music Records è cresciuta.

"Effettivamente, siamo passati da circa un milione e mezzo euro di fatturato del 2019 ad oltre due milioni del 2020. Questo perché durante la pandemia lo streaming è cresciuto, ma anche per la cessione di un nostro asset ad una casa discografica inglese".

Dei 130 artisti rappresentati dalla sua agenzia, solo 15 sono italiani. La pandemia non vi ha spinto ad incrementare l’interesse per la musica di casa nostra?

"La maggior parte degli artisti stranieri viene in concerto saltuariamente, alcuni addirittura ogni tre-quattro anni, mentre gli italiani lavorano sempre e necessitano da parte della nostra agenzia di un impegno costante".

Che significa muoversi su un mercato come quello del live che in Italia è fortemente influenzato da multinazionali tedesco-americane dell’entertainment?

"Siamo consapevoli di lavorare in una nicchia e cerchiamo di allargarla non puntando solo a vendere biglietti".