Sprechiamo troppo oro blu E lo facciamo pagare poco

Migration

LA SETE NON SI PLACA con le buone intenzioni. L’Italia è da mesi in crisi idrica, con fiumi al minimo, colture a secco e una siccità che mette a rischio l’agricoltura e, in generale, le forniture di acqua. Un problema esploso dopo tre anni di scarse precipitazioni, ma che si fonda su colpe che vanno al di là del meteo. Anzi, principalmente nostre: pochi investimenti, incapacità decisionale e degenerazioni ideologiche. Le nostre infrastrutture idriche fanno acqua da tutte le parti. Abbiamo una rete di 500 mila chilometri gestita da 2 mila imprese diverse, davvero troppe per essere efficienti. E infatti mancano gli invasi, non si fa manutenzione e in media si perde il 40% del trasportato. È come buttare la metà della spesa prima di arrivare a casa perché si usano buste di scarsa qualità. Eppure si persevera.

Per l’Istat, nel Mezzogiorno si perde per strada quasi il 50% dell’acqua trasportata. Sicilia, Sardegna, Abruzzo, Umbria e Lazio sono i territori con più perdite, con il caso agghiacciante di Frosinone, dove si perde più dell’80%. Di fronte ad un Paese che ha sete, è come rovesciare l’acqua nel deserto. Tuttavia, per la manutenzione della rete idrica spendiamo in media 49 euro ad abitante (e si scende a 8 nel Meridione) mentre in Europa si arriva a 100 euro a persona. La differenza è evidente, e forse è il caso di cambiare approccio. Non basta affidarsi a fuorvianti principi, come “l’acqua pubblica” o la gestione ai Comuni, anche perché questo finora ha portato a minori investimenti e alla situazione che abbiamo sotto gli occhi. Il punto è che “catturare” l’acqua, renderla potabile, trasportarla, distribuirla e poi depurarla e scaricarla, ha un costo enorme. Le infrastrutture non sono gratis e remunerare ad un adeguato tasso gli investimenti nel comparto è un modo per rendere più efficiente il sistema. E se non ci sono gli investimenti pubblici, o sono inefficienti, bisogna favorire quelli privati. Ma dopo il referendum del 2011, si è fermato tutto. Eppure, dove la rete funziona meglio la bolletta è inferiore. Al Sud, dove si perde più di quello che si consuma, la spesa media per famiglia è di 397 euro. Al Nord, dove le perdite sono meno della metà, si scende a 239 euro.

Bisogna poi sapere che la spesa media per un nucleo familiare di tre persone – tutti questi dati vengono dalla relazione annuale Arera – è di 322 euro l’anno: sono poco più di 107 euro a persona, meno di 30 centesimi al giorno a testa per disporre incondizionatamente di acqua. Considerando quanto vale il cosiddetto “oro blu” direi che non è molto. Anzi, poiché si tratta di bene raro, va preservato, tutelato e, se necessario, fatto pagare. Tanto più che le nostre tariffe restano tra le più basse d’Europa (5,3 euro al metro cubo a Berlino, 3,4 a Parigi, 1,49 a Roma e 0,76 a Milano). Se poi consideriamo che il consumo di acqua è per il 70% in carico all’agricoltura, per il 20% all’industria e solo il 10% al consumo privato, ridurre la portata dei rubinetti di casa risulta un palliativo. Poiché la domanda di acqua dolce continuerà ad aumentare e l’offerta a scendere, saranno necessari investimenti, possibilmente in un contesto che genera vantaggi per chi li fa.

Le possibilità di investimento “paziente” non mancano. Per esempio, realizzazione di serbatoi e accumuli provvisori, bypass tra acquedotti, desalinizzazione delle acque marine, irrigazione smart guidata da sistemi di intelligenza artificiale che consentono una maggiore efficienza e un notevole risparmio idrico. Ma anche agricoltura verticale o innovazione dei semi (crop farming).

twitter @ecisnetto