SOSTENIBILITÀ E RINCARI: SERVE UN’UNIONE EUROPEA DELL’ENERGIA

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LA SOSTENIBILITÀ ambientale è cosa buona e giusta, ma costa, e non poco. Se poi questa politica incrocia tendenze di mercato rialziste sul fronte dei prezzi, il risultato è che i consumatori, famiglie e imprese, si ritrovano la bolletta energetica con rincari, come sta avvenendo in Italia, del 40% dopo aver già fatto in precedenza +20%. Ma il problema non è solo nostro, riguarda tutta l’Europa. E la risposta, se si vuole che sia efficace, non può che essere europea. Con un’unione energetica continentale, infatti, il Vecchio Continente sarebbe più indipendente, più sicuro, più efficiente. Invece, proprio mentre i prezzi dell’energia schizzano alle stelle, ogni Paese continua ad andare per conto proprio, con interventi in ordine sparso.

La Spagna ha introdotto un pacchetto di otto misure choc dal valore complessivo di 4 miliardi per mantenere il costo della bolletta nel 2021 allo stesso livello del 2018 (circa 600 euro all’anno per l’utente medio): si va dalla riduzione del prelievo sui consumatori (l’imposta speciale sull’elettricità scende dal 5,1 allo 0,5% e l’Iva per gli impianti fino a 10KW dal 21 al 10%) ad una tassa sui cosiddetti “profitti eccessivi” che le compagnie energetiche avrebbero maturato grazie al rincaro dei prezzi all’ingrosso, calmierando il costo del gas per almeno un semestre. La Grecia ha messo in campo sussidi per i primi 300 KW consumati nel quarto trimestre dalle famiglie, in modo da controbilanciare gli aumenti previsti. La Francia, che soffre meno la situazione per via del nucleare, starebbe comunque valutando un voucher da 150 euro l’anno per circa 5,5 milioni di persone. Il governo Draghi è già intervenuto a luglio stanziando 1,2 miliardi per tagliare gli oneri di sistema, riducendo così il sovrapprezzo medio per la famiglia-tipo da 280 a 50 euro. Tuttavia, la spesa aggiuntiva potrebbe raggiungere i 500 euro a famiglia, per cui è evidente che queste contromisure, ancorché corrette e necessarie, sono reazioni estemporanee ad un problema strutturale. Nonostante il primo settembre l’Opec abbia confermato il piano di aumento di estrazione del petrolio (400 mila barili in più al giorno da ottobre) proprio per arginare i prezzi, le tensioni geo-energetiche mondiali stanno vanificando questa misura. Con conseguenze da corto circuito. La spinta inflazionistica, per esempio, è trainata dal rincaro dell’energia.

Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione Ue di indagare se dietro a questo ci sia la russa Gazprom. Nel frattempo, proprio Mosca annuncia di aver terminato il gasdotto Nord Stream 2, che arriva fino in Germania e tanto ha fatto irritare Washington. Ecco, di fronte a quella che appare una crisi energetica globale, bisogna capire che sì ci sono ragioni contingenti a determinarla (la domanda spinta dalla ripresa, strozzature dell’offerta, alcuni contratti da rinegoziare, l’esaurirsi delle riserve per via del lungo inverno precedente), ma anche e soprattutto motivi strutturali profondi. In primo luogo, la transizione energetica, che fa lievitare i costi delle fonti tradizionali e accresce la domanda di gas, che serve a produrre elettricità, in sostituzione del meno sostenibile carbone. In secondo luogo, ci sono Paesi in grande espansione (come Cina o India) o con enormi consumi pro-capite (Russia e Arabia Saudita) la cui richiesta è in costante e progressivo aumento. Ma soprattutto il fatto che l’Europa, che pure ha un peso economico pari a quello degli Usa, non ha lo stesso potere negoziale, perché ognuno va per conto proprio, spinto da interessi divergenti. Negli ultimi 15 anni l’Europa ha agito su liberalizzazioni e privatizzazioni, senza però mai armonizzare le regole. Tuttavia, se i singoli Stati sono squilibrati tra loro, invece le rinnovabili italiane, l’idroelettrico austriaco, il carbone tedesco, il nucleare francese, gli idrocarburi scozzesi, formano a livello continentale un discreto mix, bilanciato e tecnologicamente integrato. La soluzione è metterli insieme, creando una Unione Energetica Europea, qualcosa che stia tra il patto di Maastricht e il piano di unione bancaria, con cui cedere sovranità e unire le forze. Come? Per esempio unendo i dispacciatori nazionali, come l’italiana Terna, in unico soggetto europeo, creando così un player globale dall’immenso potere negoziale. Ora che Draghi ha aperto il fronte dell’unione militare, si metta in cantiere l’Uee.

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