Sos lavoro, i conti in tasca al reddito di cittadinanza

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PRESENTATO COME UNO STRUMENTO che doveva abolire la povertà, il reddito di cittadinanza non c’è riuscito. In tre anni e mezzo, secondo l’Istat, questa è aumentata: 500 mila persone in più. Certo, qualche centinaio di euro in più può essere utile per arrivare a fine mese – l’importo medio mensile nel 2022 è di circa 580 euro a nucleo familiare – ma certo non cancella la condizione di estrema difficoltà. Soprattutto, bisogna certificare il fallimento della normativa voluta dai 5 Stelle sul lato assistenziale, poiché se consideriamo che in Italia è stimata l’esistenza di 5,6 milioni di poveri ma i percettori di almeno una mensilità del reddito o pensione di cittadinanza nei primi 9 mesi dell’anno sono stati 3,4 milioni, vuol dire che, come minimo, due milioni sono esclusi. Senza dimenticare che il reddito di cittadinanza è iniquo nella sua distribuzione e, oltretutto, non tiene conto delle differenze territoriali ed economiche del Paese visto che 780 euro a Siracusa non hanno lo stesso valore che a Milano.

Ma il reddito di cittadinanza ha fallito anche l’altro obbiettivo, quello occupazionale. È stato presentato come uno strumento di reinserimento lavorativo, ma non lo è affatto. La base occupazionale non è stata allargata e i percettori hanno possibilità praticamente nulle di trovare un impiego. Tra chi prende l’assegno solo 1,1 milioni sono considerati "occupabili" e, secondo il monitoraggio dell’Anpal al 30 giugno, in 660 mila dovevano essere già stati presi in carico dai servizi per l’impiego, ma soltanto 280 mila hanno stipulato il Patto per il Lavoro. E solo 173 mila sono gli occupati. Il 15% degli occupabili e il 5,2% dei percettori del sussidio. A dimostrazione che il sistema non funziona. Tanto più che, a tre anni e mezzo dall’avvio della misura, non si sa nemmeno nulla di quante posizioni siano state trovate dai Centri per l’impiego. Tanto che si starebbe pensando di trasferire la competenza sulle politiche attive ai Comuni, mentre nel mondo imprenditoriale circola l’ipotesi di passarle alle agenzie private di collocamento accreditate, visto che già svolgono questa attività da decenni e che al momento si trovano senza personale iscritto e quindi senza lavoratori da offrire alle imprese.

A conti fatti, al di là dei troppo numerosi abusi o condotte fraudolente (solo nel 2021, oltre 160mila: una enormità) che sarebbero sufficienti a imporre un mea culpa e correzioni immediate degli errori, c’è un altro problema. Talvolta c’è qualcuno che accetta solo dei lavori in nero per non perdere il sussidio. E, così facendo, mette in difficoltà le aziende. Che comunque faticano a trovare lavoratori in generale, una cosa assai ardua quando si tratta di personale qualificato. In questo il Reddito non ha aiutato l’occupazione. Al momento della sua introduzione infatti i posti vacanti erano l’1,4% sul totale degli occupati. Oggi sono l’1,9%, pur con un tasso di disoccupazione all’8,3%. In percentuale, quindi, le posizioni lavorative non coperte sono aumentate del 35%. Tradotto in numeri, significa che oggi ci sono circa 115 mila posti vacanti in più rispetto a quando non c’era la misura. Soprattutto, bisogna sottolineare che quella dei percettori del sussidio è una platea poco appetibile per le aziende, poco specializzata, con scarse competenze tecnologiche e digitali. E quasi il 95% dei beneficiari oggi lavoranti svolge mansioni per cui sono richieste competenze basse o al massimo medio basse. E, in tutto questo, non c’è alcuna misura per incentivare e sostenere la formazione.

(twitter @ecisnetto)