Venerdì 19 Aprile 2024

Solo donne ai vertici: "Così Nonino ha vinto la rivoluzione"

Migration

IN AZIENDA OGNUNA DI LORO ha il suo ruolo preciso. Giannola è presidente, le figlie Cristina, Antonella ed Elisabetta – eredi del trisnonno Orazio, il fondatore – sono, rispettivamente, consiglieri delegati e ad. Con l’ultima arrivata in ordine di tempo, Francesca, responsabile del settore social media, è già presente e operativa la sesta generazione. In casa Nonino rinunciare a manager esterni e conservare saldamente il timone delle distillerie in mani femminili è una ricetta considerata preziosa quanto quella della grappa Monovitigno che quasi cinquant’anni fa ha segnato la svolta della storica impresa di Ronchi di Percoto (Udine) e dell’intero settore dei distillati. "È avvenuto tutto in modo molto naturale", precisa Antonella Nonino, che segue i mercati esteri, il Premio Nonino ed è anche responsabile della comunicazione istituzionale. "Siamo cresciute in un’azienda dove le donne hanno sempre lavorato. Nostro papà Benito, rimasto orfano di padre molto presto, ha visto quest’azienda gestita per anni dalla mamma e dalla sorella e ha subito imparato che lavorare con le donne è meglio. Perché sono più meticolose. Non a caso oltre il 68 per cento dei nostri collaboratori sono donne".

In un settore, però, tradizionalmente maschile.

"Abbiamo 18 lavoratori stagionali e loro sì, per la tipologia delle mansioni che svolgono, sono tutti maschi. Però le donne si occupano di tutto il resto e lavorando sul campo si guadagnano la fiducia dei colleghi e acquistano autorevolezza. Come è accaduto a noi della famiglia".

Avete scelto di sancire il passaggio generazionale, una tappa sempre piuttosto delicata nella vita delle aziende familiari, in piena emergenza Covid. Cosa è successo?

"I nostri genitori, e nostra madre in particolare, si erano posti quest’obiettivo da tempo. Poi però rimandavano. Pur assegnandoci responsabilità e compiti precisi, di fatto, comandavano loro. Fino al 2020, quando abbiamo trovato un punto d’incontro. Nostra madre ha accettato di fare un passo di lato accorgendosi così che eravamo diventate adulte. Sulla base di questa fiducia, il normale rapporto fra mamma e figlie si è evoluto in un riconoscimento di natura professionale. E noi, d’altro canto, abbiamo scoperto quante e quali cose ci uniscono. E quando nostra madre non è presente in azienda andiamo anche più d’accordo...".

Una battaglia transgenerazionale è quella per la trasparenza delle etichette.

"La nostra famiglia la combatte dagli Anni Settanta. L’80 per cento della grappa è prodotta in modo industriale; anche molti artigiani l’acquistano già fatta, la imbottigliano e la vendono. La legge consente di non precisare nell’etichetta che quella grappa non è stata prodotta da chi la confeziona, né da dove arrivi. Sta al consumatore decidere se acquistarla o meno. Ma allora è giusto che ogni acquirente sia messo nelle condizioni di scegliere sulla base di informazioni certe e sicure, da precisare obbligatoriamente".

Voi quali fornite?

"Su tutte le bottiglie precisiamo che la nostra grappa è distillata al 100 per cento con metodo artigianale. Fare educazione sulla grappa e sul bere responsabile è la nostra mission da cinquant’anni".

Fra pochi mesi compirà mezzo secolo anche anche il vostro metodo di produzione: il Monovitigno, la grappa ottenuta distillando separatamente le vinacce dell’uva Picolit. Un marchio di fabbrica, registrato.

"Quando, dopo il boom economico degli Anni Sessanta, la maggior parte delle distillerie è diventata industriale, Benito e Giannola, i nostri genitori, hanno inventato questa rivoluzione. Con due obiettivi primari: creare un prodotto sempre più di qualità e avvicinare gli estimatori di distillati a livello internazionale. Era il 1973. Oggi la nostra azienda esporta in 84 Paesi, compresa Cuba che è la patria del rum".

Quanto è difficile tenere alto il valore di una tradizione in un mercato che esige sempre nuovi prodotti?

"Il Monovitigno è qualcosa di straordinario e - non usiamo questa parola a caso - di rivoluzionario. Dove per tradizione si mescolavano le vinacce, i nostri genitori hanno chiesto di separarle vitigno per vitigno per poter distillare una grappa che portasse nel profumo e nel sapore le caratterische del vitigno d’origine. Quando è nato servivano bottiglie diverse che ne esaltassero l’unicità e abbiamo adottato l’ampolla di vetro soffiato e, per la prima volta, una carta d’identità della grappa. Che negli anni abbiamo trasformato da Cenerentola a regina dei distillati internazionali. Dietro quest’impresa, una produzione secondo il metodo artigianale al 100 per cento, con 66 alambicchi a vapore, seguita personalmente da noi della famiglia. Distilliamo in contemporanea alla vendemmia, quindi vinacce freschissime. Abbiamo sette cantine d’invecchiamento sotto sigillo e col controllo permanente dell’Ufficio delle Dogane. Attualmente ospitano 2.510 barriques di legni diversi. L’invecchiamento è solo naturale, con zero aggiunta di coloranti".

Che peso ha, oggi, la ricerca?

"Circa il 10 per cento del fatturato, attestato a fine 2021 in 18.300.000 euro. Investiamo in ricerca nell’invecchiamento dei distillati, nell’innovazione dei prodotti e, da 15 anni, nelle nuove modalità di consumo. Sono nati così, per esempio, il distillato di zenzero e l’Aperitivo Nonino BotanicalDrink".

Oggi la parola d’ordine è sostenibilità.

"La grappa è l’espressione di un’economia circolare. Da sottoprodotto l’abbiamo resa materia prima, utilizzata negli ambiti più diversi. Ad esempio come cibo per gli uccelli e fertilizzante nei vivai".

La tutela dell’Ambiente, ora come non mai, richiede un impegno diretto da parte delle imprese.

"Sono d’accordo. La sostenibilità che promuoviamo è anche di tipo sociale. Reinvestiamo cioè sul territorio a sostegno dei valori della civiltà contadina, cui è dedicato il Premio Nonino fondato nel 1975 proprio con questo scopo".