Seduti sopra un ramo secco, investire su lavoro e formazione

Investire su lavoro e formazione

Investire su lavoro e formazione

L’ITALIA sta diventando un ramo secco. Dopo aver bruciato la cosiddetta ‘generazione perduta’, cioè tutti quei ragazzi che sono entrati in età adulta nel corso del più che ventennale declino del Paese, che dura dalla metà dei Novanta, adesso rischiamo che su queste ceneri non cresca più nulla. Le indicazioni demografiche fornite nell’ultimo rapporto Istat appena pubblicato, infatti, ci dicono che in futuro la Penisola sarà abitata da meno persone, sempre più vecchie e dunque da pochi giovani, che tra l’altro appena possono scappano all’estero e che, comunque, hanno davvero poca voglia di fare figli. Tutto questo, non solo provoca problemi pensionistici, economici, sociali, ma incide sulla natura stessa del nostro vivere, presente e futuro. Purtroppo, nel corso degli anni le politiche sono state sbilanciate a favore degli anziani, a partire da pensioni eccessivamente generose rispetto ai contributi versati, fino ad arrivare alla nefasta “quota 100”.

Non sarà un caso che dopo la crisi del 2008 e nei difficili anni a seguire, come anche in questa pandemia, siano i pensionati ad aver sofferto di meno la perdita di reddito. Paradossale poi che il taglio Irpef previsto in manovra vada a rendere più generosi di circa il 2% gli assegni pensionistici. Vedremo se la norma sarà approvata ma, allargando l’inquadratura, è evidente che da anni dedichiamo poca attenzione ai giovani, ai temi del lavoro (nella foto in alto, il ministro Andrea Orlando), dell’istruzione, del futuro. Solo per fare un esempio, rispetto alla Germania spendiamo oltre 2mila euro in meno per la formazione di ogni studente. La nostra spesa per istruzione è tra le più basse dei paesi industrializzati. Se a questo aggiungiamo basse prospettive di crescita e quasi due anni di restrizioni dovute al Covid ecco spiegato l’esplodere prepotente della sindrome “YOLO” (“you only live once”, si vive una volta sola). Essa ci dice che per i ragazzi l’importante è vivere il presente, visto che considerano inutile programmare il futuro. La dinamica dei redditi fornisce un’ulteriore argomentazione: il 60% di chi ha tra i 20 e i 24 anni e il 32% di quelli tra 25 e 29 anni ha uno stipendio inferiore all’importo massimo del reddito di cittadinanza (780 euro). A queste condizioni, ovviamente, non c’è stimolo a impegnarsi. Così ci ritroviamo con la disoccupazione giovanile che sfiora il 30%, contro il 7% della Germania e il 17% della Ue, e più di due milioni di NEET, cioè un ragazzo su quattro che non studia e non lavora. Insomma, per chi ha venti o trent’anni oggi c’è poco da sperare, da immaginare, da costruire. Figuriamoci fare figli.

Gli effetti sulla demografia sono lampanti. Nel 2020 contavamo 60 milioni e 461mila residenti, 88.249 in meno del 2019 (senza contare un afflusso migratorio positivo netto di 148.943 unità saremmo a saldo negativo di 237 mila persone). Andando a ritroso negli anni bisogna considerare 77.216 mila residenti persi nel 2019, altri 46.410 nel 2018 e, comunque una popolazione che non cresce dal 2010. Siamo il secondo paese più anziano al mondo (dopo il Giappone), con cinque over 65 per ciascun bambino, tre lavoratori per pensionato e una situazione che andrà progressivamente a peggiorare. Siamo vecchi e lo saremo sempre di più, visto che abbiamo il tasso di fecondità più basso d’Europa (1,2 figli per donna) e in cui è sempre più larga la forbice tra le nascite (nel 2020 al record storico negativo con poco più di 400 mila) e i decessi (quasi 750 mila). È come se ogni anno perdessimo una città del calibro di Bologna o Firenze. In tutto questo, non facciamo nulla per aiutare le nuove generazioni, che fuggono in massa (circa 131 mila giovani ogni anno). Tanto è vero che proprio il rapporto Istat ci dice che, rimanendo così le cose, continueranno a nascere meno di 500 mila italiani l’anno da qui al 2065. Una desertificazione, visto che nello scenario peggiore potremmo arrivare a meno di 300 mila neonati ogni 12 mesi. Magra consolazione: questi dati sono stati raccolti con il paese ancora nel pieno della pandemia. Per cui c’è (ci sarebbe) spazio per un cambio di rotta, investendo su lavoro e formazione. Questo governo lo ha più volte annunciato. Ora c’è bisogno di passare dalle parole ai fatti.

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