Mercoledì 24 Aprile 2024

Nuovi mercati e innovazione Solo così l’export crescerà

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NONOSTANTE pandemia, guerra, inflazione, e malgrado la politica, le esportazioni continuano ad aumentare, e ben guardare ci hanno tenuto in piedi in questi anni difficili. Solo per dare un dato: nel 2012 contabilizzavamo 390 miliardi di vendite all’estero. Secondo l’ultimo rapporto Sace appena presentato, nel 2021 abbiamo raggiunto i 603 miliardi (516 per i beni e 87 per i servizi). Un incremento superiore al 50% in 10 anni. Se poi si considera che è stato un decennio funestato dalla crisi dei debiti sovrani, da un euro piuttosto forte (fino a qualche mese fa), dal ritorno del protezionismo, dal Covid, il risultato è eccezionale. Abbiamo già recuperato i livelli 2019, con la previsione di una ulteriore crescita del 10,3% quest’anno e del 5% nel 2023. Un aumento soprattutto in valore, spinto dall’inflazione, piuttosto che in volumi, la cui crescita è resa più modesta dai rincari dei prezzi. E nonostante il deteriorarsi dello scenario internazionale, in Sace sono fiduciosi che i comparti dedicati all’estero riescano a dimostrare la loro eccezionale capacità di reazione, anche grazie ad una domanda globale ancora relativamente sostenuta e alle risorse del Next Generation Eu.

In ogni caso, questa decade ha dimostrato che senza l’export non possiamo stare. Tanto più che le previsioni a livello mondiale, e quelle sul nostro paese in particolare, non sono proprio positive. Il conto è facile: se il prossimo anno il pil italiano dovesse essere negativo (Fitch dice -0,7%, Confindustria stima un calo di tre punti nel prossimo biennio), pensate cosa potrebbe accadere senza il sostegno delle esportazioni.

La sfida più importante è concettuale. Tessile, abbigliamento, alimentare, agricoltura, bevande o vino insieme totalizzano quanto fa, da sola, la meccanica strumentale. Siamo passati dal “bello e ben fatto” e dal “made in Italy” ad essere fantastici produttori di beni intermedi. Questo ci rende indispensabili nelle catene internazionali del valore. Nello stesso tempo, oltre ad esporci maggiormente agli effetti dei rincari inflazionistici, fa si che non siamo più capofila ma gregari, di lusso ma pur sempre gregari, con il rischio di essere sostituiti da chi produce prodotti simili a minor costo (e magari ci copia). Dunque la sfida si vince solo continuando a investire in innovazione, ricerca e sviluppo. Le imprese esportatrici ci sono riuscite bene in questi anni.

Tuttavia, con l’attuale inflazione – spiega Alessandro Terzulli, chief economist di Sace – per i beni intermedi sarà particolarmente evidente il divario tra aumento dei volumi (che cresceranno meno) e dei valori (che cresceranno di più). Le tensioni sui costi potranno essere superate più facilmente cercando nuovi mercati, nuovi acquirenti e fornitori sostitutivi. Nelle mappe delle destinazioni dinamiche per il nostro export ci sono, e devono restare, paesi come Germania, Francia, Stati Uniti e Spagna. Ma ci sono opportunità anche su strade meno battute. Negli Emirati Arabi le esportazioni di chimica e meccanica strumentale dovrebbero crescere rispettivamente del 28,6% e del 18,6%. Quelle di metalli verso l’India (non un partner facile per noi) del 23,6%. L’export dei mezzi di trasporto verso il Messico dovrebbe segnare +15%. Verso la Colombia si stima +17,8% per la meccanica strumentale. Ma c’è anche il Vietnam, che è in via di trasformazione industriale, e l’Arabia Saudita, che ha predisposto un importante piano di investimenti pubblici. È ovvio, queste sfide si vincono più facilmente se si gioca di squadra. C’è anche bisogno della politica. E se non riesce a dare una mano, almeno eviti di mettere i bastoni tra le ruote.

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