Giovedì 18 Aprile 2024

Non è più tempo di pagherò L’Ue ci vuole seri e credibili

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C’È UN NUOVO "SCUDO" della Banca centrale europea, uno strumento per evitare squilibri nell’Eurozona, favorire una corretta gestione della politica monetaria e proteggere i paesi in difficoltà finanziaria. Si chiama Tpi, Transaction Protection Instrument, ed è diverso da tutti i precedenti perché assegna un ruolo ancora più politico alla Bce. Ma anche perché, a guardarlo in filigrana, sembra fatto apposta per l’Italia tanto che Tpi potrebbe tradursi in "To Protect Italy". Bene, no? Sì, ma attenzione: non è incondizionato. Partiamo dalla nostra condizione attuale. Se non è tornato il rischio Italia, poco ci manca: spread spinto all’insù dalla crisi di governo; tassi in rialzo che aggravano il fardello del nostro debito pubblico; titoli di Stato che rendono di più di quelli della malmessa Grecia; credit deafult swap, cioè le assicurazioni per tutelarsi da un eventuale default dell’Italia, che oggi costano il 125% in più di un anno fa, dieci volte quelli sulla Germania. Vedremo se nei prossimi mesi saremo ancora too big to fail, troppo grandi per fallire, e quindi qualcuno arriverà nuovamente in nostro soccorso. Ma intanto il pericolo, e l’ansia, salgono, anche se potete star certi che l’argomento sarà tabù nella prima campagna elettorale ferragostana della storia repubblicana.

Dieci anni dopo il celebre "whatever it takes" pronunciato da Draghi il 26 luglio del 2012 ("faremo tutto ciò che serve per salvare l’euro. E credetemi, sarà sufficiente") che salvò la moneta unica e l’Italia dal default, la Bce ha invertito la rotta della politica monetaria chiudendo i cordoni della borsa. Invece l’Italia è rimasta la stessa, spendacciona, di sempre. Anzi, complici le emergenze, ancora di più. Ma la stagione del denaro facile è terminata, e il Patto di Stabilità Ue, che era stato sospeso con la pandemia, verrà riattivato, seppure in una formula meno severa e rigida. E con tutto questo bisognerà fare i conti, ma, ovviamente, subito dopo il 25 settembre. Di qui al voto, come al solito fioccheranno promesse di interventi in deficit (l’anno scorso al 7,2% del Pil) e nuovi scostamenti di bilancio. E questo nonostante flessibilità e sostegni non siano mancati. Secondo Bank of America negli ultimi due anni abbiamo ricevuto quasi 1.400 miliardi di dollari (circa il 69% del Pil), di cui quasi 1.000 di aiuti e più di 400 di stimoli monetari (QE, Pepp, Tltro). In percentuale al Pil, siamo il Paese che ha incassato di più al mondo. E lo stesso discorso vale per il Next Generation europeo da 750 miliardi di euro, di cui siamo il maggior beneficiario (con 209 miliardi) e l’unico Paese a usufruire di tutti i prestiti (127 miliardi), oltre che dei sussidi (82).

Ora, questa fase è conclusa e non è più tempo di generosi pagherò. L’intervento della Bce sarà possibile solo se le differenze tra i tassi sui titoli sovrani saranno ingiustificate rispetto ai fondamentali economici del Paese. Inoltre, ci saranno alcune condizioni che, semplificando, si possono riassumere in: avere i conti in ordine e rispettare gli impegni presi con l’Europa. Insomma, non ci sarà più un ombrello largo e perennemente aperto, ma solo uno strumento puntuale, ad hoc, attivabile contro la speculazione, ma solo a specifiche condizioni. Nessuno leverà lo scudo se saremo noi, instabili e potenzialmente incapaci di pagare i nostri debiti, a far salire lo spread. E non ci sarà nessuna protezione se continueremo a fare finanza allegra, se ci dovesse essere una procedura per deficit e squilibrio eccessivo da parte della Commissione, se la legge di Bilancio non dovesse essere in linea con Bruxelles. L’aiuto arriverà solo se saremo seri e credibili.

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