Giovedì 25 Aprile 2024

Noi, meglio della Germania Resta il nodo burocrazia

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IN BILICO, SUL FILO DEL RASOIO, su un crinale stretto. Ditelo come volete ma l’Italia si trova di fronte a un bivio: da un lato rischiamo di passare un lungo inverno di scontento, complice la congiuntura internazionale composta di crisi energetica, guerra e inflazione; dall’altro, le imprese italiane mostrano una vitalità eccezionale e, se evitiamo di appesantirle di carichi inutili e controproducenti, possono essere proprio loro il rimorchio che ci evita una nuova, ennesima, recessione. Attualmente nel mondo economico domina l’incertezza sia per via del cambio di governo in patria che per uno scenario globale molto volatile (materie prime scarse, prezzi energetici instabili, tassi di interesse in rapido cambiamento). Le aziende hanno rallentato gli investimenti e lo sprint prodotto finora si è fermato, ma non stiamo ancora tornando indietro.

L’ultimo dato sul manifatturiero italiano di S&P Global tiene (da 48 di agosto a 48,3 di settembre), mentre gli analisti si aspettavano un calo al 47,5. Poteva andare molto peggio. In Germania, per esempio, lo stesso indice è al 47,8. e la strada della recessione è già stata imboccata, visto che il pil sarà negativo per questo trimestre e i due successivi (la crescita tedesca del 2022 dovrebbe essere all’1,4%, meno della metà della nostra). Le imprese italiane reagiscono meglio del previsto e trainano l’intero Paese, un trend che ci accompagna da tempo. Nel Def di aprile il Pil per quest’anno era dato al 2,9%. Confindustria prevedeva +1,9%. L’Fmi ha alzato dal 2,3% stimato in aprile al 3% di luglio (mentre riduceva le previsioni per il resto del mondo). Attualmente, la crescita già acquisita è 3,5%, migliore di ogni ipotesi. Nella Nota di Aggiornamento al Def si spiega che l’Italia ha avuto "sei trimestri di crescita superiore alle aspettative", tanto che abbiamo già recuperato i livelli pre-Covid. E se l’economia globale ed europea sono in marcato rallentamento, l’export tiene comunque. Secondo l’ultimo rapporto Sace nel 2021 abbiamo raggiunto i 603 miliardi (dai 380 del 2007 significa +50% in 10 anni, nonostante tre recessioni), con la previsione di una ulteriore crescita del 10,3% nel 2022 e del 5% nel 2023. Ora, non illudiamoci. È possibile che arrivi davvero una delle recessioni più violente della storia, come prevede Nouriel Roubini, tra i pochi economisti a prevedere quella del 2008. La manifattura da gennaio a luglio ha segnato +1,2%, ma è in rallentamento.

L’ondata di commesse acquisite qualche mese fa si è affievolita in concomitanza dei rincari delle bollette e alcuni settori energivori come fonderie e cartiere hanno dovuto fermare le attività. L’inflazione è ai livelli del 1984, con i costi delle materie prime che frenano gli investimenti, anche quelli del Pnrr (finora sono stati spesi solo 21 miliardi su 191,5). Senza dimenticare i rialzi dei tassi di interesse che pesano sul nostro debito monstre. O il pericolo che scoppi qualche "bolla finanziaria". Tuttavia, c’è una sola scommessa che possiamo giocare per uscirne sani e salvi: quella delle imprese. Se le attese sull’economia misurate dall’Istat sono uguali al 2020 pandemico, la fiducia degli imprenditori è sui livelli di marzo 2021, cioè più alta, più confident che nel resto degli italiani. Forse perché gli imprenditori oggi in attività sono quelli che hanno superato la feroce selezione darwiniana di tre crisi (2008, 2011 e 2020). Se è vero che quello che non ti uccide ti rende più forte, possiamo dar loro fiducia. Anche perché non abbiamo molto altro. L’importante, comunque, è non mettere loro ancora una volta i bastoni tra le ruote con più burocrazia, più tasse, più incertezza normativa. (twitter @ecisnetto)