Mahmood preferisce gestire i social da sé. "Metto il mio gusto"

Mahmood

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QUANTO VALE la ‘digital strategy’ sul piano promozionale di un disco o di un concerto? Dipende molto dall’artista e dal tipo di progetto da comunicare, ma mediamente si aggira attorno al 10% del budget investito sull’operazione. Per un cantante in gara a Sanremo, ad esempio, attorno ai cinquemila euro, ma la cifra è puramente indicativa. "I social li uso quasi sempre da solo, perché li vedo come dei raccoglitori da riempire e mi piace metterci tutto il mio immaginario e il mio gusto" spiega uno che Sanremo lo conosce bene come Mahmood (nella foto in basso), inserito con Blanco e Achille Lauro nelle settimane precedenti l’Eurovision tra gli artisti più attivi in rete da un monitoraggio di Talkwalker, società che misura le conversazioni social e web generate dagli account di aziende, emittenti tv, personaggi, influencer e utenti in termini di presenza e interazioni (engagement). "Penso, infatti, siano una cosa talmente personale che i fans capiscono immediatamente quando ad usarli è l’artista e quando c’è dietro qualcun altro. La cosa positiva è che puoi metterci quello che vuoi, quella negativa è che alcuni approfittino della grande libertà offerta dal mezzo per sfogarsi cercando a screditare gli altri piuttosto che mettere in gioco idee ed esperienze. L’ho provato sulla mia pelle nel 2019 quando, dopo il Festival, mi ritrovai addosso addirittura la politica. Spesso sui social si tende a trovare il lato negativo delle cose, a giudicare e a criticare sempre e comunque. Anche il politically correct credo stia prendendo una piega un po’ ‘bad’, brutta, nel senso che non si può fare né dire più nulla". Ogni artista ha una sua relazione specifica coi social che ne rispecchiano, come detto, gusti e personalità.

"I profili troppo patinati non mi piacciono, così come non amo quelli poco eleganti – prosegue l’interprete di ‘Brividi’. E ammiro chi riesce a mischiare alto e basso come fa il mio amico regista Attilio Cusani distinguendo i post dalle stories, per usare i primi quasi come dei portfolio del suo lavoro e i secondi come racconti senza filtri di vita quotidiana". Il rischio in agguato è che la mancanza (o quasi) di filtri induca in alcuni una eccessiva familiarità. "Visto che di richieste ne arrivano moltissime, l’eventualità è reale – ammette Mahmood – ma sta all’artista stabilire delle regole, fissare dei paletti affinché il filo diretto non si trasformi in invadenza".

Andrea Spinelli