Sabato 20 Aprile 2024

Le Casse di Previdenza: un patrimonio da utilizzare

Le Casse di Previdenza: un patrimonio da utilizzare

Le Casse di Previdenza: un patrimonio da utilizzare

INCREDIBILE. Restiamo appesi a soldi che non sappiamo se e quando arriveranno, come quelli del Pnrr, mentre ne teniamo molti fermi nel cassetto. E anzi, invece di aprirlo per finanziare infrastrutture, progetti industriali, Pmi, riqualificazioni immobiliari e molto altro, si vuole spezzare la chiave nella toppa. Parlo del patrimonio, pari a oltre 100 miliardi, delle Casse di Previdenza italiane, che gestiscono le pensioni di due milioni tra notai, avvocati, architetti, commercialisti e un’altra ventina di categorie. Denaro che sarebbe prezioso se venisse investito nell’economia reale, sempre a corto di risorse. Invece, mentre ci avviamo ad un rialzo dei tassi che spinge a puntare sulla finanza più che sulle imprese, rischiamo di ostacolare l’utilizzo di quei capitali. Infatti, in un’audizione parlamentare il dirigente del Mef, Stefano Cappiello, ha fatto presente che mancano un paio di passaggi all’emanazione di un decreto che andrebbe a regolamentare in modo stringente l’attività di questi enti previdenziali e che è atteso da quasi dieci anni. Ora, quello dei decreti attuativi che mancano è un problema, ma sarebbe un errore fare di tutta l’erba un fascio. La legge in questione risale infatti all’ultimo governo Berlusconi, estate 2011, e quindi ad un mondo che oggi non c’è più. Altra economia, altre esigenze. Soprattutto, l’atto è stato congelato da tutti gli inquilini del ministero dell’Economia che si sono succeduti (Monti, Grilli, Saccomani, Padoan, Tria, Gualtieri) per diversi problemi di merito.

Nonostante le lievi modifiche rispetto alla prima bozza, anche il nuovo (si fa per dire) testo del decreto attuativo per un giurista del calibro di Sabino Cassese sarebbe assai "pericoloso". Intanto perché "ripubblicizza" quello che era stato privatizzato (le Casse di previdenza lo furono nel 1994), facendo impropriamente prevalere il diritto amministrativo su quello privato. Poi perché ne limita l’autonomia, e dunque l’efficienza gestionale, non tenendo conto delle singole specificità. Nel dettaglio, si prevedono troppi vincoli per finanziamenti in immobiliare, private equity, infrastrutture. Tra l’altro con regole – che sarebbero le più severe dell’Occidente – uguali per tutti, senza distinzioni, e per di più retroattive. Per esempio, viene posto il limite del 5% dell’investimento nel capitale delle non quotate e del 10% delle quotate, ma senza tenere conto della grandezza dell’operazione (acquistare il 5% di una azienda che capitalizza 100 milioni è diverso dal 5% di una da 1 miliardo), né della disponibilità delle Casse stesse, visto che non ci sono riferimenti al rapporto tra impieghi e patrimonio. Per cui chi avesse fatto investimenti superiori sarà obbligato a una vendita coatta (quindi non vantaggiosa). Infine, si prevede che le Casse debbano fare una gara pubblica per scegliere i gestori dei loro patrimoni ma questa modalità, con i soliti corsi e controricorsi, di solito richiede anni. Un ossimoro nel rapido mondo di oggi.

Insomma, non si capisce quale sia la ratio e l’utilità di tale decreto. Per l’economia reale certamente nessuna. In teoria per i disastrati conti pubblici, visto che dal 2016 le Casse sono entrate nel perimetro Istat della contabilità pubblica. Ma è un artificio contabile, visto che sono considerati solo gli attivi e non le passività. Se imporre dei controlli è doveroso (il modello delle Fondazioni funziona bene), stroncare l’attività di enti privati oltre ad essere in contrasto con la legge, rischia di penalizzarne la redditività. Soprattutto, rischia di bloccare per sempre nel cassetto 100 miliardi di potenziali investimenti in economia reale.

twitter@ecisnetto