"LA MUSICA DAL VIVO CHIEDE CERTEZZE O È FINITA"

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L’ANNO ZERO della musica dal vivo non è ancora finito. E la tanto agognata ripartenza del mondo dello spettacolo continua ad essere posticipata assieme a certi grandi eventi che sul calendario scivolano di stagione in stagione ormai da due anni. Roberto De Luca (in alto) è il presidente di Live Nation Italia, prima agenzia di concerti del nostro Paese e ramo locale del colosso americano Live Nation Entertainment.

Due anni di fermo cosa hanno comportato?

"Per quanto riguarda Live Nation, il calo di fatturato del 2020 rispetto a quello del 2019 è stato del 96%, mentre nel 2021, sempre rispetto al 2019, è arrivato al 99,6%. Non credo che in Italia esistano situazioni peggiori. Anche se con flessioni del 40 o del 50%, in altri settori le aziende hanno lavorato. Nel nostro, no. E parlo, naturalmente, del mio gruppo".

I soli luoghi di spettacolo a capienza piena rimangono i teatri.

"Quando dai il via libera, anche solo per i teatri, le tournée non si mettono in piedi da un giorno all’altro, così nel 2021 abbiamo organizzato soprattutto concerti di artisti internazionali molto piccoli in spazi all’aperto dove le capienze non andavano oltre gli 800-1.200 spettatori. Unica eccezione Sting a Taormina, che ha esaurito in brevissimo tempo i 1.400 posti disponibili al Teatro Antico, che normalmente ne tiene 4.500".

Insomma, il settore è in enorme difficoltà.

"La situazione è disperata soprattutto per quel che riguarda i luoghi dove si possono fare grandi numeri come i palasport dove, al momento, la capienza è del 35%, con pubblico distanziato. Con le spese che certe strutture comportano, organizzarci concerti al momento non è economicamente sostenibile e poi c’è il problema degli spettacoli già esauriti in prevendita".

Vale a dire?

"Con una capienza del 35% con quale criterio si decide chi escludere? Si potrebbero organizzare più repliche, ma la perdita economica aumenterebbe".

Come avete fronteggiato la crisi?

"Non abbiamo licenziato nessuno, nemmeno i collaboratori, e non abbiamo ridotto gli stipendi. Tutti hanno usufruito della cassa integrazione, che nel nostro caso si chiama Fondo d’integrazione salariale, ma, non volendo toccare le retribuzioni, la differenza l’abbiamo messa noi. E questo in un’azienda con 80 dipendenti come Live Nation Italia ha il suo peso. Poi ci sono le professionalità strategiche, quelle irrinunciabili, per le quali abbiamo stanziato oltre 200 mila dollari. Ora non possiamo più farcela. Ci aspettiamo date certe per poter continuare a fare il nostro lavoro".

Qual è la situazione negli altri paesi?

"L’Irlanda ha aperto completamente, il Regno Unito pure e così Francia e Spagna. Penso si debba seguire quella linea lì".

La Germania no.

"Io sono l’ultimo dei virologi, però questa variante Omicron è sì molto infettiva, ma, grazie anche ai vaccini, meno grave a livello patologico della Delta. Per questo in certi Paesi è stata declassata da pandemica ad endemica. Voglio sperare che anche da noi, sulla scorta del confortante andamento dei dati, nel giro di venti giorni-un mese possa iniziare un graduale ritorno alla normalità".

Ci sono poi i lavoratori dello spettacolo. Il coordinamento di Bauli in Piazza, il movimento creato dagli operatori per sensibilizzare la politica alle difficoltà della musica live, parla di un 30% di professionalità che negli ultimi due anni ha abbandonato il settore.

"Quelli che potevano essere mantenuti, stanno ancora al loro posto. Quanti non potevano essere mantenuti, i cosiddetti ‘invisibili’, quelli che per mangiare scaricano i camion tanto per fare un esempio, se hanno trovato lavoro da Amazon ben difficilmente torneranno indietro. Anche se le remunerazioni sono mediamente inferiori a quelle del mondo del live, infatti, attività del genere offrono al lavoratore sicurezze che al momento il mondo dei concerti non è in condizione di offrirgli".

Professionalità perdute definitivamente?

"Sì. E non solo in Italia. Faccio un esempio; eravamo in trattative per l’affitto di un palco con l’olandese Stage Co., la più grossa compagnia europea del settore, ma alla fine non siamo riusciti ad averlo. E questo non per mancanza di materiale, ma di personale in condizione di fornircelo nei tempi dovuti. Un fatto che evidenzia già di suo la gravità della situazione e le difficoltà in cui si dibatte al momento il settore da questa parte dell’oceano".

Qual è la situazione qui da noi?

"Abbiamo pianificato palasport e stadi. Ma tutti i concerti che avevamo in agenda fino ad aprile li abbiamo spostati o cancellati, a cominciare da The Script, Five Seconds Of Summer, Alanis Morissette. Il tour di Vasco Rossi, al via il 20 maggio da Trento, rimane confermato. Anche perché dover spostare un tour con quasi 700 mila biglietti venduti sarebbe davvero drammatico".

Le prevendite sono quasi ferme. E a pesare sulle scelte del pubblico sono probabilmente le centinaia di migliaia di biglietti non rimborsati chiusi nei cassetti nell’attesa di essere utilizzati. Questo è un prezzo da pagare alla politica dei voucher che voi imprenditori avevate messo in conto oppure no?

"Quando ti trovi sulla torre e devi decidere cosa salvare e cosa no, hai una sola scelta: la sopravvivenza. Ovvio che in questo momento esista una comprensibile disaffezione del pubblico, che vive nell’incertezza. Ma è legata all’instabilità generale. Quando ad ottobre, ad esempio, la situazione è sembrata evolvere in maniera favorevole, le vendite sono ripartite immediatamente. Poi è arrivato Omicron e c’è stata una nuova frenata. Anche se il fenomeno non riguarda tutti indistintamente, visto che artisti come Pearl Jam, Guns N’Roses, Metallica o lo stesso Vasco Rossi continuano a vendere".