Mercoledì 24 Aprile 2024

"Il teatro è un bene di tutti Dobbiamo ripartire da qui"

"SIAMO RIPARTITI, ma non sarà più come prima. In questi due anni sono cambiate molte cose, compreso il modo di pensare il teatro da parte del pubblico". Marco Giorgetti (nella foto sopra, a sinistra), direttore generale del Teatro della Pergola di Firenze, riapre tutte le sere il sipario, preparandosi a interpretare tempi nuovi.

Direttore Giorgetti, come è stata questa ripartenza?

"Il desiderio di tutti era di ricominciare da dove eravamo rimasti, ma invece l’esperienza del Covid ci ha profondamente segnato nel nostro quotidiano, specialmente riguardo al contatto fisico, allo stare insieme in un luogo. Ma c’è altro: credo che il pubblico da ora in poi vorrà essere più libero rispetto a cosa andare a vedere. E in questo senso gli abbonamenti, se non rivediamo i meccanismi, rischiano di essere qualcosa di obsoleto".

Ad esempio, cosa è successo ai vostri abbonamenti dal 2019 ad oggi?

"A noi, come mediamente agli altri teatri, è successo che siamo al 50% sia gli per abbonamenti, sia in generale per gli incassi".

Come riportare il pubblico a teatro?

"Certamente dobbiamo lavorare molto, e lo stiamo già facendo, per agevolare l’acquisto online. Deve diventare facile come comprare un biglietto del treno. E poi il teatro deve essere sempre di più un luogo dove andare presto, cenare, stare con gli amici, frequentare come una ‘casa’. Ma penso anche alla promozione degli spettacoli in modo diverso, ad esempio con trailer come se si trattasse di un film".

A proposito, il cinema non rischia di tenere ancora di più le persone lontane dai teatri?

"Io penso che il pubblico sentirà sempre di più il bisogno di distinguere tra quello che si vede a teatro e quello che guarda su Netflix o su piattaforme simili. È una questione di repertorio".

In che senso?

"Il teatro deve avere il coraggio di tornare a fare Edipo, Amleto, Brecht, Alfieri, insomma i grandi titoli, per recuperare il rapporto con la radice classica del nostro mito, per ricercare i valori della nostra esistenza, che a teatro sono rappresentati in maniera del tutto diversa da come li possiamo vedere in un film. Perché a teatro abbiamo qualcosa di immediato e non di mediato. Perché, citando Carmelo Bene, vediamo un atto e non un’azione".

Quindi, l’occasione per riflettere sulle future produzioni.

"Sì, ma non solo. È l’occasione per ricordare quanto fosse importante tutto ciò che sta attorno allo spettacolo serale, dall’incontro con gli artisti ai laboratori per le scuole, e mille altre esperienze di contatto che si sono perse. E che dobbiamo riprendere, per divulgare lo strumento teatro, per far capire che appartiene a tutti. Come lo sport".

Economicamente cosa è accaduto in questi due anni?

"È stato un periodo devastante. Devo solo esprimere una gratitudine immensa verso i nostri soci che hanno mantenuto i loro contributi".

Il personale come ha retto l’urto? Ci sono professionalità che avete perduto?

"All’inizio del lockdown il nostro personale fisso ha avuto la cassa integrazione. Per gli altri, i professionisti stagionali legati all’attività di palcoscenico, il rischio di perderli c’è stato. E so che in molte città, da Roma a Milano, è successo. Bravissimi macchinisti, elettricisti, tecnici luce che hanno dovuto fare altri mestieri per sopravvivere. E sono perdite enormi di saperi artigianali, vitali per il teatro. Per fortuna qui non è successo, in qualche modo siamo riusciti a tenere tutti dentro".