Cyber-sicurezza e difesa: l’Italia investa in formazione

Cyber-sicurezza e difesa: l’Italia investa in formazione

Cyber-sicurezza e difesa: l’Italia investa in formazione

DI FRONTE AD UNA GUERRA che prosegue nel tempo ed aumenta di intensità, diversi Paesi, tra cui il nostro, hanno rivisto al rialzo le spese militari. Una decisione a cui in Italia si sono opposti in molti, tanto che l’impegno che avevamo assunto in ambito Nato di portare la spesa per la difesa fino al 2% del Pil, verrà mantenuto solo in tempi lunghi. Tuttavia, al di là di certe semplificazioni pacifiste, alcune spese non sono solo militari, ma veri e propri investimenti sul futuro. I finanziamenti al settore della difesa, se orientati a ricerca e innovazione, producono effetti positivi sulla vita di tutti i cittadini. E non tutte le spese militari sono uguali: sui circa 2.100 miliardi di investimenti globali nel 2021, alcuni Paesi come Stati Uniti e Regno Unito mettono sempre più soldi in ricerca e sviluppo (+24% solo nell’ultimo anno), mentre altri come Russia e Cina si concentrano su militi e armi. L’andamento del conflitto in Ucraina dimostra che quello che conta, oltre alla preparazione, sono le tecnologie.

Da decenni, e nel corso del tempo sempre di più, gli investimenti bellici finanziano, stimolano e spingono la ricerca. E ottengono risultati poi ampiamente usati in ambito civile. È successo con il radar, sviluppato durante la Seconda Guerra Mondiale. Poi con il nucleare, gli aerei, le comunicazioni criptate che usiamo nelle app di messaggistica istantanea e perfino con il forno a microonde. Senza dimenticare internet, figlio di un progetto del Pentagono che si chiamava ARPAnet. Insomma, la difesa è sviluppo. E questo è ancora più vero oggi. Se fino agli anni Ottanta le innovazioni del settore militare venivano poi trasferite in ambito civile, adesso i due campi viaggiano paralleli in quello che viene definito ‘sistema duale’. Ciò è particolarmente vero per information technology e sicurezza cibernetica visto che, in un mondo sempre più digitale, da un lato la guerra in Ucraina si combatte anche nel cyber e, dall’altro, l’Europa è costantemente minacciata da attacchi hacker verso infrastrutture civili (l’anno scorso hanno provocato danni per 6mila miliardi di dollari). Gli investimenti in cybersicurezza sono insomma fondamentali sia per difenderci dalla guerra ibrida che per proteggere ospedali, centrali elettriche, gasdotti, telecomunicazioni. Ma, contemporaneamente, hanno un effetto moltiplicatore per centri di ricerca, agenzie pubbliche e settore privato, istruzione e competenze. Purtroppo, come ha detto il presidente dell’Agenzia Nazionale per la cybersecurity, Roberto Baldoni (in alto a sinistra) "non abbiamo un numero adeguato di professionisti della sicurezza informatica". Ne mancherebbero 100 mila in Italia, tre milioni nel mondo. Corollario fondamentale è dunque un adeguato investimento nel personale. Anche per questo Leonardo (nella foto a destra, l’ad Alessandro Profumo) ha lanciato la Cyber Security Academy, accademia di alta formazione dedicata ai meccanismi di difesa da incursioni hacker (con 1.800 allarmi al giorno, l’Italia è il terzo paese più colpito al mondo) che prevede di formare fino a 15 mila professionisti già iscritti. Procedure e tecnologie non bastano: l’85% delle violazioni cyber è determinato da errore umano. E quindi mancano umani qualificati a questa nuova sfida. Leonardo non è un caso isolato. C’è, per esempio, l’Academy di Netgroup, società di information technology, che fino ad oggi ha formato migliaia di professionisti attraverso corsi gratuiti aperti a persone di tutte le età. E diverse altri esempi si potrebbero fare. Spendere in difesa, in cybersicurezza, in sviluppo tecnologico significa anche investire in formazione. Quindi nel futuro.

twitter@ecisnetto