Giovedì 18 Aprile 2024

Così l’Europa ha imparato a rinunciare al greggio russo

ERA SUCCESSO con il gas, ora succede con il petrolio. La notizia dello stop alle forniture di greggio russo alla Polonia, arrivata a fine febbraio, non ha smosso i mercati: anzi, le quotazioni del Brent hanno perso circa l’1% subito dopo l’annuncio, scendendo sotto gli 83 dollari al barile. E anche questa reazione segnala come la vicenda non sollevi un forte allarme tra gli operatori, anche se fosse vero che Mosca sta di nuovo imbracciando l’arma dell’energia. L’interruzione delle consegne alle raffinerie polacche è avvenuta a pochi giorni dalla visita a Kiev e a Varsavia del presidente Usa Joe Biden e dal varo del decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia. Ma se le coincidenze spingono a ipotizzare una ritorsione, l’arma del petrolio sembra davvero spuntata. La situazione ricorda quella che nell’aprile 2022 condusse alla fine dei rapporti con Gazprom: Varsavia – che si era già attrezzata per fare a meno del gas russo – rifiutò il meccanismo di conversione dei pagamenti in rubli e Mosca chiuse i rubinetti, ma le fece un favore, perché le risparmiò una violazione dei contratti. Con l’aggressione di Mosca all’Ucraina il ponte energetico fra Russia ed Europa, che aveva retto per oltre cinquant’anni, in pochi mesi si è ridotto a un rudere. Riceviamo ancora gas russo, ma a forza di tagli Gazprom è ormai diventata un fornitore residuale, di cui puntiamo a liberarci del tutto: fino all’anno scorso dominava il mercato, con una quota che superava il 40%, mentre oggi copre appena il 7,5% delle importazioni Ue.

Quanto agli altri combustibili, l’Europa ha già interrotto quasi del tutto gli acquisti con l’introduzione di un embargo che risparmia, in virtù di esenzioni temporanee, solo modesti volumi di greggio attraverso l’oleodotto Druzhba, ovvero dell’Amicizia, destinato a svuotarsi con la fine dell’amicizia. Lo stop al carbone russo è entrato in vigore fin dall’agosto 2022, mentre lo stop al greggio – cui era più difficile rinunciare – è intervenuto il 5 dicembre: oggi da Mosca arrivano non più di 600mila barili al giorno, un quarto di quanto eravamo soliti acquistare in precedenza, ed è previsto che i volumi si azzerino entro il prossimo anno. L’impennata dei prezzi dell’energia, cominciata già nel 2021 con la ripresa post-pandemia e poi aggravata dall’aggressione russa, l’anno scorso ha regalato profitti record a chiunque operasse nel settore e dunque anche a Mosca, che ha più che compensato il calo delle esportazioni di idrocarburi: petrolio e gas hanno garantito oltre un terzo delle entrate statali russe nel 2022, portando in cassa 9mila miliardi di rubli secondo il ministero delle Finanze, ossia circa 112 miliardi di euro, quasi il 30% in più rispetto al 2021.

Ma la situazione oggi non è più la stessa. Le quotazioni del gas in Europa restano mediamente alte (e forse non torneranno ai livelli di un tempo), ma sono comunque crollate di oltre un terzo da inizio anno, finendo sotto i 50 euro per megawattora al Ttf, il minimo da agosto 2021 e meno di un quinto rispetto ai picchi dell’estate scorsa. Gazprom – tra i maggiori contribuenti fiscali in Russia – avrebbe incassato appena 3,4 miliardi di dollari dall’export di gas a gennaio, contro i 6,3 miliardi di un anno prima, stima Reuters. Con l’embargo, le entrate di Mosca scendono a vista d’occhio, tanto che a gennaio il deficit di bilancio ha raggiunto i 25 miliardi di dollari.

L’Europa, beninteso, ha pagato a caro prezzo la crisi energetica. Le bollette non sono ancora tornate normali e i governi (compresi quello britannico e norvegese) hanno stanziato 768 miliardi di euro per sostenere cittadini e imprese, calcola il think tank Bruegel: aiuti paragonabili a quelli concessi per il Covid. La recessione, però, è stata evitata e le previsioni economiche migliorano: nell’Eurozona si stima un Pil in crescita dello 0,9% nel 2023 e un’inflazione media in calo al 5,6% (a gennaio era all’8,5%). In pratica, l’uscita di scena della Russia dal mercato europeo non ha scatenato gli sconquassi previsti dai profeti di sventura e potrebbe anzi avere accelerato la transizione energetica verso le fonti pulite.