Mercoledì 24 Aprile 2024

Casta Diva Group: folgorati sotto le stelle del jazz

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CON LA PRODUZIONE di oltre 300 spettacoli l’anno, il Blue Note di Milano fattura, festival esclusi, circa il 25 per cento dell’incasso jazz in Italia. Il locale milanese fa parte della galassia Casta Diva Group, multinazionale di primo piano nel settore della comunicazione ramificata in quattro continenti con 15 sedi in 11 paesi diversi che la rendono uno dei più estesi network di produzione di film pubblicitari ed eventi su scala mondiale. L’incontro di mondi lontani, ma integrati nel fronteggiare la crisi, come spiega Andrea De Micheli, presidente e amministratore delegato di Casta Diva. "Con i suoi 3,5 milioni e di incassi previsti nel 2022, il locale rappresenta grossomodo il 6 per cento del fatturato atteso del Gruppo".

La vostra gestione del Blue Note è iniziata nel 2016: non doveva essere a termine?

"Lo acquisimmo non tanto perché era un jazz club, ma in quanto quotato sul mercato AIM Italia (oggi Euronext Growth Milan, ndr) nella prospettiva di essere quotati a nostra volta con un’operazione di fusione per incorporazione. L’idea era quella di rivenderlo in un secondo momento a qualcuno che fosse più interessato allo spettacolo. Poi, però, ci siamo innamorati del posto, del personale, dei concerti, del prestigio che dà avere un locale di questo genere (franchising del celebre Blue Note di New York) e così non solo l’abbiamo tenuto, ma pure rilanciato".

In che modo?

"Innanzitutto ci siamo resi conto che il suo potenziale va al di là della capienza. E che è restrittivo limitarne la resa ai 300 posti disponibili in sala (che due set a sera trasformano in 600). Così abbiamo creato il brand ‘Blue Note Off’ per offrire ai clienti ‘corporate’ l’opportunità di portare l’atmosfera del nostro club nelle loro sedi e location organizzando concerti anche su palchi diversi da quello di via Borsieri. L’idea ha funzionato tant’è che, a tutt’oggi, ne abbiamo organizzati più di 100. Poi abbiamo lavorato con altre realtà quali Ponderosa e Triennale Milano nella creazione di JazzMi, diventato in pochi anni forse il maggior festival italiano, superando per paganti pure Umbria Jazz, che esiste dal ‘73".

Cos’è cambiato?

"Il Blue Note pre-2016 era un po’ una ‘turris eburnea’, un tempio del jazz frequentato solo dagli appassionati di vecchia data, noi abbiamo voluto allargarne l’offerta e con essa il pubblico, ringiovanendolo. Per aumentare l’attrazione del cartellone sui ragazzi, ad esempio, abbiamo abbassato di 10 euro i prezzi del secondo set. Operazione andata a buon fine perché, nonostante i biglietti scontati, alla fine gl’incassi sono aumentati, in quanto è aumentato il pubblico. E questo ha avuto ricadute pure sulle consumazioni".

Com’è andata durante il lockdown?

"Il giorno d’uscita dal lockdown, l’8 maggio 2020, pur senza pubblico, abbiamo riaperto il locale con un concertone di Paolo Fresu distribuito attraverso i telefonini di Huawei con un’audience di 150 mila persone in 12 paesi. In un solo giorno abbiamo avuto più spettatori delle operazioni in streaming di un intero anno. L’iniziativa dei concerti digitali è andata così bene che l’abbiamo ripetuta pure in altre occasioni".

Siete tornati sui livelli del 2019?

"Abbiamo chiuso l’esercizio 2021-2022 con 61 mila biglietti venduti che è sostanzialmente il risultato conseguito dal Blue Note prima della pandemia, quando ci aggiravamo sui 65 mila. Nel biennio 2020-2021 abbiamo cercato di tenere duro e conservare i posti di lavoro, nonostante le lunghissime chiusure".