Da un lato c'è un gruppettino di ‘campioni’ che traina il convoglio, ma che è troppo ristretto per farcela da solo. Dall’altra ci sono molte, troppe ‘imprese zombie’, che zavorrano il sistema. In mezzo, la gran parte delle aziende italiane che oscilla tra il successo e il declino. E sono quelle che devono fare il salto di qualità, perché da esse dipende il futuro del Paese. Le imprese che vanno bene, che non hanno risentito della crisi causata dal Covid sono davvero un numero esiguo. Secondo la terza edizione della ricerca annuale ‘Controvento’ di Nomisma, su un campione di oltre 75 mila aziende manifatturiere analizzate tra il 2015 e il 2020, ce ne sono meno di 5 mila, per l’esattezza 4.889, che hanno registrato una crescita media annua dell’8,9%, un fatturato complessivo in cinque anni aumentato del 53% e un margine operativo lordo cresciuto addirittura del 127%. Ottimo risultato, non solo perché la quota di partecipanti a questo gruppo è in aumento rispetto alle 4.656 imprese del 2019, ma perché, pur essendo solo il 6,5% del campione, esse formano una vera e propria locomotiva che, generando il 10% dei ricavi e il 16% del valore aggiunto della manifattura italiana nel suo complesso, traina l’intera economia nazionale. Allargando l’inquadratura, però, è evidente che si tratta di una goccia nel mare. Considerando le 75mila imprese analizzate, il fatturato totale è inferiore dell’1,1% rispetto ai livelli del 2015, mentre il margine operativo lordo segna -11,8%. Da Nomisma rilevano che ci sono settori più brillanti (farmaceutica, macchinari per il packaging e alimentare su tutti) e altri meno (tessile e abbigliamento) e, soprattutto, l’esistenza di una correlazione diretta tra risultati e investimenti: chi li ha ridotti è infatti uscito dal gruppo dei migliori, mentre chi è entrato ha investito circa il 4% dei ricavi, il ...
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