Giovedì 25 Aprile 2024

Campioni controvento, ma attenti agli zombie

Le performance delle aziende italiane sotto i riflettori

Le performance delle aziende italiane sotto i riflettori

Da un lato c'è un gruppettino di ‘campioni’ che traina il convoglio, ma che è troppo ristretto per farcela da solo. Dall’altra ci sono molte, troppe ‘imprese zombie’, che zavorrano il sistema. In mezzo, la gran parte delle aziende italiane che oscilla tra il successo e il declino. E sono quelle che devono fare il salto di qualità, perché da esse dipende il futuro del Paese. Le imprese che vanno bene, che non hanno risentito della crisi causata dal Covid sono davvero un numero esiguo. Secondo la terza edizione della ricerca annuale ‘Controvento’ di Nomisma, su un campione di oltre 75 mila aziende manifatturiere analizzate tra il 2015 e il 2020, ce ne sono meno di 5 mila, per l’esattezza 4.889, che hanno registrato una crescita media annua dell’8,9%, un fatturato complessivo in cinque anni aumentato del 53% e un margine operativo lordo cresciuto addirittura del 127%. Ottimo risultato, non solo perché la quota di partecipanti a questo gruppo è in aumento rispetto alle 4.656 imprese del 2019, ma perché, pur essendo solo il 6,5% del campione, esse formano una vera e propria locomotiva che, generando il 10% dei ricavi e il 16% del valore aggiunto della manifattura italiana nel suo complesso, traina l’intera economia nazionale.

Allargando l’inquadratura, però, è evidente che si tratta di una goccia nel mare. Considerando le 75mila imprese analizzate, il fatturato totale è inferiore dell’1,1% rispetto ai livelli del 2015, mentre il margine operativo lordo segna -11,8%. Da Nomisma rilevano che ci sono settori più brillanti (farmaceutica, macchinari per il packaging e alimentare su tutti) e altri meno (tessile e abbigliamento) e, soprattutto, l’esistenza di una correlazione diretta tra risultati e investimenti: chi li ha ridotti è infatti uscito dal gruppo dei migliori, mentre chi è entrato ha investito circa il 4% dei ricavi, il doppio della media. Purtroppo questa è la punta dell’iceberg di un processo di divaricazione in corso che divide chi ha capitale solido, è in grado di affrontare e reggere la competizione, innova e guarda all’estero e al futuro, e chi invece no. Con i vincenti che si rafforzano progressivamente, ma restano sempre troppo pochi, mentre i perdenti si indeboliscono, e però diventano ogni giorno più numerosi. Se guardiamo al 2020, per esempio, è vero che sono fallite 9 mila imprese in meno dell’anno precedente, ma ce ne sono circa 200mila che si possono definire ‘zombie’ perché in avanzato stato di deterioramento, e tuttavia mantenute in vita dai creditori o dai sussidi. È evidente lo squilibrio.

La struttura del nostro tessuto imprenditoriale – composto di oltre 4 milioni di imprese di cui più del 95% ha meno di nove dipendenti – poco si adegua ai processi di distruzione creatrice del capitalismo. E infatti è in gran parte rimasta ferma a qualche decennio fa, abdicando prima alla sfida della globalizzazione e poi a quella della digitalizzazione. Fortunatamente, parte delle circa 370 mila aziende manifatturiere fa eccezione, tanto che ha prima vinto la sfida dell’export poi quella delle nuove tecnologie, infine reagendo brillantemente alla tempesta del Covid. Tuttavia, non è abbastanza, perché si tratta di una minoranza della minoranza. Insomma, quelle che ce la fanno, non ce la fanno da sole. Quando si alzeranno i tassi e soprattutto quando finirà definitivamente l’era dei sussidi, le imprese zombie avranno davvero una ‘sopravvivenza’ difficile. Le imprese brillanti, ma soprattutto quelle che potrebbero farcela, non vengono però aiutate. Insomma, serve un ecosistema economico efficiente, per tutelare quelli che già corrono e spingere quelli che ancora camminano.

twitter @ecisnetto