Bocelli riparte da Lajatico "Avanti tutta, con prudenza"

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"NEL 2022 I COSTI degli spettacoli sono lievitati rispetto al 2019 anche del 30-40% con la conseguenza che per raggiungere il break event occorre molto più pubblico di prima", ammette Veronica Berti, moglie e manager di Andrea Bocelli, oltre che vicepresidente della Fondazione attraverso cui il cantante italiano più famoso al mondo persegue le sue attività filantropiche. "Ma c’è anche un altro vincolo rispetto al periodo pre pandemico, visto che il Covid ha instillato negli operatori un alto livello prudenza che finisce a volte col frenare glI investimenti".

A voi è accaduto?

"Sì, col Teatro del Silenzio, il concerto di Andrea a Lajatico a favore della Fondazione. Un anno fa, dovendo decidere sull’edizione 2022, non me la sono sentita di confermare la tradizionale formula del doppio concerto, lasciando così quello del 28 luglio senza repliche. Al tempo, infatti, avevamo venduto solo 2 degli 11mila biglietti disponibili e, tenuto conto anche del fatto che l’80% del pubblico dell’evento è straniero, non me la sono sentita di rischiare. Poi, però, nel giro di pochi mesi oltre ad esaurire lo spettacolo ci siamo trovati 6 mila spettatori in lista d’attesa. Mi spiace per loro e anche per le maestranze. Se l’imprenditore non osa, infatti, le conseguenze poi sono a cascata".

Potendo contare su più mercati, però, un artista come Bocelli ha contenuto l’impatto della crisi. Visto che è uno dei pochi a destinare circa un terzo dei suoi guadagni al sostegno della comunità questo è un bene.

"Sì. Per noi il black-out è durato non più di 6-7 mesi. E già nell’inverno 2020 la ripartenza degli Stati Uniti ha permesso di pianificare alcune eventi, anche se i concerti veri e propri sono ripresi, a capienza ridotta, a febbraio 2021, mentre le arene sono tornate a riempirsi completamente a giugno, quindi con grande anticipo sull’Europa".

Mesi preziosi.

"Soprattutto nel mondo dello spettacolo dove dietro chi va in scena c’è l’opera di altre centinaia di professionalità. Dal canto nostro abbiamo utilizzato più personale di quanto ne servisse, non per fare beneficenza quanto piuttosto per redistribuire lavoro a chi sapevamo averne bisogno".

Pure l’attività di beneficienza della Fondazione avrà risentito dello stop.

"Nel primo periodo del Covid, quando la gente non aveva ancora paura della pandemia, la risposta delle donazioni è stata straordinaria. Questo grazie anche al fatto che buona parte della attività della Fondazione era concentrata sull’Italia per l’acquisto di mascherine, ventilatori polmonari, letti ed altre attrezzature sanitarie. Nonostante fosse chiusa in casa, la gente sentiva il desiderio di aiutare e aveva soldi da spendere in quanto i contraccolpi dello stop non s’erano ancora fatti sentire; quando poi è arrivata la crisi, l’America che aveva già ripreso e questo ci ha permesso comunque di andare avanti".

Prospettive?

"Anche se mio marito dice che non è saggio fare piani oltre le ventiquattro ore, la Fondazione opera con piani triennali perché solo con partnership protratte nel tempo si stabilizzano i flussi di donazione, consentendo l’esatta cognizione delle disponibilità in cassa".

Un concetto molto più americano che italiano.

"La speranza è che anche in Italia, pian piano, il terzo settore venga aiutato. Difficile spiegare a un americano, abituato a scaricare le donazioni dalle tasse fino all’ultimo dollaro, che da noi oltre i 70 mila euro paghi all’erario il 40% di quel che doni".