Bruno
Villois
Il terzo trimestre dell’anno si avvicina alla conclusione e il problema ’inflazione-carrello della spesa-salari bassi’ resta dominante perché ci sta portando ad una stagflazione che rappresenta una grande incognita da ora al 2025. A rendere le cose più complesse è il tema di una produttività industriale che determina una capacità reddituale delle partite Iva nostrane tra le più basse d’Europa. Una produttività che ad oggi è in coda in Europa e che ha avuto una crescita mediana nel periodo 1995-2020 di un misero 0,4%, contro il +1,5% nella UE a 27, e 1,2% in Francia e 1,3% in Germania, pur in presenza di un maggior numero di ore lavorate di circa 2-3 punti, in Italia. Una produttività sotto tono che incide sulla redditività nel manifatturiero, commercio e agricoltura, in maniera non certo irrilevante, anche considerando che oltre il 90% delle aziende italiane sono micro e sono inserite in filiere con a capo imprese di grandi dimensioni (nella grande maggioranza dei casi in mani estere, molto sensibili ai propri profitti e molto meno a quelli dei loro fornitori). Senza dimenticare che la continua uscita del capitalismo di medie e grandi dimensioni prosegue stabilmente.
A questi non incoraggianti dati che mettono punti interrogativi sulla possibilità realistica di gran parte delle imprese italiane di poter aumentare i salari, si aggiunge il pericolo del crollo dell’occupazione generica. Il governo punta a sostenere le fasce più deboli, ma è altrettanto importante che definisca una fiscalità premiante per quel capitalismo italiano che non cede alle lusinghe estere, investe risorse proprie, sostiene l’occupazione anche in presenza di una riduzione delle marginalità.