Mercoledì 24 Aprile 2024

Imprese culturali e creative: voglia di investire

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Creativo è chi ha il coraggio di esserlo. Creativo è chi ha il coraggio di investire sul futuro. Spettacoli dal vivo, musei, editoria, musica, produzioni digitali, un mondo che almeno per il 67% ha ancora voglia di crescere. Lo dimostra l’indagine condotta dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e da Mediocredito italiano sul grande bacino delle imprese culturali e creative. Tante realtà che in Italia offrono lavoro a 830mila persone e incidono per un buon 3,6% sull’occupazione nazionale. Dal campione dei 119 soggetti intervistati da Intesa arriva un segnale positivo: la stragrande maggioranza di loro ha intenzione di investire sulla propria attività, il 28,8% addirittura, dice di volerlo fare in maniera significativa.

Cambiano i tempi, cambia la destinazione delle risorse: dalle compagnie teatrali fino alle startup sviluppatrici di videogames in cima alla classifica degli investimenti ci sono marketing e comunicazione, che nelle imprese creative hanno pian piano scavalcato i processi di digitalizzazione, ancora i ‘preferiti’ di quelle culturali. Fondamentale a questo punto il tema delle risorse finanziarie, soprattutto il credito bancario a medio-lungo termine per lo sviluppo delle proprie attività, a cui ricorre circa la metà. «Sono imprese dalla specificità importante - spiega Stefania Trenti, responsabile dell’ufficio Industry research della direzione Studi e Ricerca del gruppo bancario - e tra loro molto variegate, che richiedono strumenti finanziari adeguati. Per questo motivo abbiamo deciso di farne un oggetto di studio, in modo da potenziare le nostre forme di finanziamento». L’approccio di Intesa Sanpaolo si basa infatti su strumenti cosiddetti ’Taylor made’, creati ad hoc per loro (le aziende culturali e creative) che individuano fra i bisogni fondamentali proprio l’accesso al credito.

«Un pensiero comune alla stragrande maggioranza di queste imprese, di cui il 50% appartiene al mondo degli spettacoli dal vivo, il 16,8% al mondo dell’editoria e il 10,9% a quello dei contenuti multimediali, che temono più la mancanza di fondi rispetto al cambiamento del loro mercato», aggiunge Serena Fumagalli, senior economist della Direzione studi e ricerche. Una preoccupazione facilmente immaginabile dato che circa un quarto delle imprese culturali e creative intervistate è nata fra il 2008 e il 2015, ed è quindi molto giovane. Oltre a questo almeno nel 30% dei casi si può parlare di vere e proprie micro aziende, con meno di 10 dipendenti. Nonostante tutto però emerge che l’82,4% del campione ha dichiarato di aver realizzato degli investimenti negli ultimi tre anni, e circa un terzo lo avrebbe fatto in maniera significativa.

Dagli spettacoli all’editoria, dai software ai servizi «quasi tutti dichiarano di avere una buona consapevolezza dei propri risultati - aggiunge Trenti - con particolari picchi nel biennio 20172018. I riflessi sulle iniziative culturali (o comunque creative) sono stati buoni, e non tradiscono un discreto ottimismo per il 2020 in arrivo». Lo conferma anche l’analisi dei flussi di cassa che però evidenzia una netta differenza tra le due tipologie di imprese. Per quelle creative, oltre il 57% dei soggetti dichiara che i propri flussi di cassa sono sufficienti per sostenere un ulteriore indebitamento, a fronte di una quota del 21% circa che esprime invece un’insufficienza. Per le culturali invece emerge invece un quadro più fragile, che evidenzia le maggiori tensioni di questi soggetti dal punto di vista finanziario.

L’indagine ha visto anche la collaborazione delle associazioni di categoria insieme alla Fondazione Fitzcarraldo, nel progetto: Aesvi, agis Lombardia, Aie, Federculture e Federvivo, e ha consentito a Intesa Sanpaolo di esplorare ancora più a fondo un mondo in cui l’accesso al credito rimane uno dei punti chiave nella strada verso il successo.

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