Il virus fa bene alla plastica Ma il futuro rimane bio

Mascherine e protezioni fanno impennare i consumi. .

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di Elena Comelli

"Plastica, Ben. Il futuro è nella plastica". Con la pandemia di Covid-19 e il dilagare dell’ansia da contatto, sembra di essere tornati ai tempi de “Il Laureato”, il film del ’67 in cui Ben Braddock-Dustin Hoffman, fresco di studi, si sentiva dare questo consiglio profetico. I due colossi del settore Ineos e Trinseo, in Europa e negli Usa, stanno registrando un aumento delle vendite a due cifre nell’imballaggio alimentare e nell’assistenza sanitaria. La plastica monouso è tornata alla ribalta, con l’ubiquità di mascherine, schermi di tutti i tipi e imballaggi per l’asporto, proprio in un momento in cui l’industria petrolifera teme il crollo della domanda nei trasporti con l’avvento dei veicoli elettrici e punta sui prodotti petrolchimici – in particolare sulla plastica – per colmare il divario.

Le immagini degli oceani e dei fiumi intasati, però, hanno sensibilizzato l’opinione pubblica sull’impatto della plastica sull’ambiente e sulla salute umana. Da qui l’impennata di materiali alternativi, che ormai competono con la plastica fossile in molti settori. Nel settore degli imballaggi, che assorbe un quarto dei 350 milioni di tonnellate di materie plastiche prodotte ogni anno nel mondo, c’è una fortissima richiesta di contenitori a base di fibre vegetali, biodegradabili e compostabili.

È proprio a questo settore, il principale utilizzatore globale di plastica fossile (prima dell’edilizia, del tessile e dei trasporti,) che si rivolge il Global Commitment per un’economia circolare della plastica, promosso dalla fondazione Ellen MacArthur e dall’Unep, il programma dell’Onu per l’ambiente. Tra i firmatari ci sono le aziende responsabili del 20% di tutti gli imballaggi in plastica a livello mondiale, come Danone, Mars, Unilever, Coca Cola, PepsiCo, H&M, L’Oreal, oltre a specialisti nella gestione delle risorse come Veolia e produttori di materie plastiche, dal colosso del polietilene Borealis al campione italiano delle bioplastiche Novamont.

L’obiettivo è disaccoppiare la produzione di plastica dalle fonti fossili, usando solo materiali biodegradabili, oltre alla plastica già prodotta fino ad oggi e riciclata. Fra i materiali alternativi già in commercio, un caso di successo sono le fibre ottenute dai funghi: il recente sviluppo dei miceli per produrre strutture relativamente robuste si sta facendo strada sia negli imballaggi che nell’isolamento edilizio. L’americana Ecovative Design, ad esempio, crea contenitori su misura per qualsiasi prodotto a base di funghi, che vengono coltivati innestandoli sugli scarti dell’agricoltura, come i semi di cotone, i trucioli o la buccia del grano saraceno. Versato in uno stampo, il micelio avvolge gli scarti adattandosi al contenitore e una volta raggiunta la forma desiderata viene trattato con il calore che ne blocca la crescita. L’azienda di Green Island (New York) ha recentemente sperimentato addirittura la creazione di una sorta di cuoio prodotto con i funghi.

Le alternative di fibre vegetali per i contenitori del cibo da asporto sono anche molto richieste e fra i prodotti più diffusi ci sono quelli di Footprint, un’azienda basata in Arizona, che parte dalle fibre utilizzate per produrre cartone, addensandole in modo da farle diventare altrettanto stabili della plastica, con il vantaggio di poterle anche riscaldare nel microonde. Con questo materiale produce contenitori di tutti i tipi per il cibo da asporto, dai piatti alle vaschette di diverse misure. L’olandese Avantium, invece, sembra arrivata a buon punto nella produzione di bottiglie biodegradabili, supportate sia da Carlsberg che da Coca-Cola e Danone, ansiose di liberarsi dallo stigma di vandali degli oceani con le loro bottigliette. La bioplastica di Avantium, che potrebbe arrivare sugli scaffali dei supermercati entro il 2023, è progettata per essere abbastanza resistente da contenere bevande gasate, pur riuscendo a decomporsi nel giro di un anno, ma utilizza zuccheri estratti dal grano, dal mais e dalle barbabietole e quindi per ora è in concorrenza con le colture alimentari. Inizialmente l’azienda si limiterà a una modesta produzione di 5000 tonnellate di bioplastica all’anno, ma prevede una rapida crescita, a giudicare dall’aumento della domanda di bioplastiche.

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