BRUNO
Economia

Il vero costo della mancata spending review

Ogni anno si rinvia la spending review, ma i ritardi sono incolmabili. Il divario tra entrate e spese pubbliche è di circa 200 miliardi, che potrebbero essere investiti in infrastrutture e innovazione. La spesa pubblica è inferiore a quella francese e tedesca, ma la qualità dei servizi è più bassa.

Villois

Ogni volta che ci si avvicina alla stesura della legge di bilancio, ci si ricorda che la spesa pubblica complessiva è esagerata. Il divario tra entrate pubbliche, inferiori ai 700 miliardi e le spese finali che si avvicinano ai 900 miliardi, produce un saldo netto da finanziare di circa 200 miliardi di euro. Una maggior efficienza, con tagli alle spese statali superflue produrrebbe maggior liquidità nella casse dello Stato. E il solo modo per ottenerlo sono i processi di revisione della spesa pubblica. Bene però ricordare che la percentuale della nostra spesa pubblica in percentuale sul Pil è inferiore a quella francese e all’incirca pari a quella tedesca; ma in entrambi gli altri casi l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici è sicuramente molto migliore della nostra.

Da inizio secolo tutti i Governi hanno ipotizzato una consistente spending review: peccato che nessuno abbia avuto il coraggio, o meglio la capacità, di attuarla riducendo gli sprechi. Sprechi che superano i 200 miliardi di euro, pari al doppio dell’evasione fiscale presunta di oltre 100 miliardi e di 34 superiore alla spesa sanitaria. Burocrazia e debiti commerciali della PA nei confronti dei fornitori, giustizia civile, eccesso della spesa, sprechi e inefficienze sono i capitoli che determinano la spesa extra large.

E il peso sul consenso elettorale dei 3,2 milioni di addetti, li tiene al riparo da interventi di efficientamento. Da decenni servirebbero risorse fresche investire in infrastrutture pubbliche e sostenere l’accelerazione dell’innovazione delle imprese per aumentare la produttività e renderle maggiormente competitive nel contesto internazionale, ma ogni anno si rinvia al successivo e i ritardi sono sempre più incolmabili. Lo dimostrano i 20 anni di bassa crescita del Pil.

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