Giovedì 25 Aprile 2024

Il sogno americano vive a Firenze «Mi interessa il bene dei miei dipendenti E non voglio guadagnare con il calcio»

Angelo Giorgetti

FIRENZE

IL SIGNOR Sogno Americano ha un patrimonio personale che modestamente oscilla fra i 5 e i 6 miliardi di dollari (ma può arrivare a 6.7, fonte Bloomberg): dipende da chi e come lo calcola dice Rocco Commisso, nuovo padrone della Fiorentina, che con «Mediacom Communications Corporation», fondata nel 1995, ha vinto parecchi scudetti nel campionato Usa della finanza. Fatturato in crescita da 90 trimestri consecutivi, 4600 dipendenti, due miliardi di introiti all’anno (800 milioni di Ebitda). L’azienda è salita alla quinta posizione in America nel suo settore, un impero costruito attraverso i sistemi digitali via cavo (Tv, internet, telefonia), parecchia esposizione per gli investimenti tecnologici ma anche marginalità più alta rispetto ai competitor per la scelta di decentrare l’offerta fuori dai centri urbani.

Emigrato nel 1962 a soli 12 anni a New York da Marina di Gioiosa Ionica, provincia di Reggio Calabria, Rocco Commisso (foto Germogli) ha fatto il viaggio alla rovescia per lasciare un segno in Italia: dopo aver acquistato il Cosmos e sfiorato il Milan, in due settimane ha acquisito la Fiorentina dai Della Valle. Cifra segreta, ma prossima ai 170 milioni. Due lauree alla Columbia University (la seconda presa lavorando già a tempo pieno, unico fra tutti gli studenti), un padre emigrato in America nel 1956 per fare il falegname, una madre ‘capace di tirare su quattro figli con solo 100 lire al mese’, la determinazione di emergere attraverso lo studio prima e il lavoro poi. Lavoro di tutti i tipi, visto che quando era già impiegato alla Chase Manhattan Bank, la banca dei Rockfeller (oggi J.P. Morgan Chase,) aprì anche una discoteca nel Bronx. Proprio lì nel 1978 si esibì Pupo.

Commisso, come si entra nel club miliardario del sogno americano?

«Non ci sono segreti, non ho ricette e figuriamoci se posso dare consigli. Se volete ripenso alla mia vita ora che mi sto avvicinando ai 70: ho lavorato con tenacia, mi sono sempre dedicato al lavoro e alla famiglia e a metà Anni Novanta ho deciso di puntare sulle potenzialità delle trasmissioni via cavo proprio quando molti altri stavano uscendo da quel settore».

Solo questo?

«Ah no, c’è un altro aspetto decisivo. Credo nella loyalty, la lealtà, la offro e la pretendo. Dico sempre alle persone che lavorano per me: take care of me and I’ll take care of you».

Avere cura di 4600 dipendenti è un bell’impegno.

«In Mediacom non abbiamo contratti come da voi in Italia e se le cose non funzionano i rapporti si chiudono da un giorno all’altro. Soprattutto per quanto riguarda le mansioni più basse, in America c’è un grande ricambio perché nessuno pensa che quello possa essere il lavoro giusto per tutta la vita. In genere io dò a tutti la possibilità di dimostrarmi quando valgono, poi decido avendo in mente due aspetti: il benessere dei dipendenti e la cura dell’ambiente. Vedo che ora vanno particolarmente di moda fra i manager, io ci pensavo già trent’anni fa».

Torniamo alla sua scalata: dal Bronx a Wall Street e poi alla Mediacom.

«In effetti abitavo nel Bronx, lavoravo a Brooklyn e andavo all’università a Manhattan, insomma una vita da pendolare nella subway. Ero l’asso delle coincidenze per ottimizzare i tempi. Chiesi al mio capo di poter fare il turno di notte per frequentare le lezioni la mattina alla Business School. Sapevo che studiare mi sarebbe servito, me lo diceva sempre mio padre che faceva il falegname ma aveva un animo da intellettuale: Rocco mi raccomando, studia, studia e studia. L’ho accontentato».

Le è servito moltissimo, se Mediacom cresce da 90 trimestri consecutivi. Anche se alcuni analisti sottolineano la quota dell’indebitamento: 2,35 miliardi di dollari.

«Con un Ebitda annuale di 800 milioni possiamo permetterci di destinarne circa 100 solo per il pagamento dell’esposizione e degli interessi. Il nostro è un settore in cui gli investimenti sono essenziali, le spese sono funzionali per adeguare e aggiornare la qualità di servizi che variano sensibilmente attraverso la tecnologia che si aggiorna. Ma parlano i numeri: il valore commerciale di Mediacom può per esempio facilmente essere calcolato moltiplicando per 10 volte 800 milioni, cioè l’earnings before interest, taxes, depreciation and amortization, cioè gli utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti. Fate i conti poi sottraete i debiti e ci avviciniamo a 6 miliardi».

Qual è la giornata tipo di un multimiliardario americano?

«Mi alzo presto e lavoro, anche se nelle ultime settimane impiego la prima ora per leggere tutta la rassegna stampa sulla Fiorentina. Ogni riga. Non immaginate quanto tempo assorba il calcio, se vuoi fare le cose per bene».

Uno degli uomini più ricchi d’America acquista una squadra in Italia e può investire rispettando parametri che lo costringono a rispettare il rapporto con il fatturato. Che nel caso della Fiorentina si avvicina a 100 milioni.

«Queste sono le regole e io le rispetto, anche se il mio motto è ‘ fast, fast, fast’. Ho comprato la Fiorentina in due sole settimane, seguendo il mio motto che vorrei portare nel mondo del calcio anche per le infrastrutture, come stadio e centro sportivo. Inoltre soprattutto nel calcio cresci velocemente se puoi aumentare il livello attraendo grandi giocatori e migliorando la qualità dell’offerta. Questo non è possibile, la sponsorizzazione di Mediacom sulle maglie è un modo per aggiungere altri capitali. Quanti? Non lo dico, sarà un multiplo di 5 milioni... Ho studiato altri casi, per esempio quello della Mapei nel Sassuolo, proprio per questo voglio calcolare bene l’impatto, che dev’essere giusto e all’interno delle regole. Certo, sono sempre soldi miei ma ne trarrà beneficio anche l’azienda in America. I dipendenti saranno orgogliosi di vedere il nome di Mediacom sulle maglie della Fiorentina».

Nessuna idea di sviluppo commerciale in Italia?

«No, per la Mediacom ci bastano gli Usa. Siamo arrivati a questo livello grazie alle acquisizioni di altre società, per me è stato un rischio calcolato perché sapevo che altri stavano abbandonando un settore che invece era in evoluzione. In Italia ho investito solo per il calcio e come ho sempre detto non ho intenzione di guadagnare altri soldi. Certo che non voglio buttarli, ma alla mia età è più importante lasciare un segno nel Paese dove si è nati. Perché, come dico sempre io...».

Take care of me and I’ll take care of you...

«Appunto. Se c’è un segreto per il successo, è questo».

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