Il Pil vola ma è allarme licenziamenti. "La ripresa non crea occupazione"

A pagare il prezzo più salto saranno i giovani. La pandemia selezionerà le aziende. In stallo il decreto che blocca le delocalizzazioni: spaventa le imprese

Situazione lavorativa, il sondaggio

Situazione lavorativa, il sondaggio

Il Pil vola verso il 6 per cento, ma l’autunno dell’Italia nel guado dell’emergenza Coronavirus è fatto di crisi aziendali con licenziamenti in tronco o quasi (come nel caso di Gkn), lavoro che non torna ai livelli pre-pandemia, contratti brevi, stage, occupazioni sottopagate. Senza contare lo spettro della fine del blocco dei licenziamenti nel terziario, nei servizi e nelle piccole imprese, in programma per la fine di ottobre: un appuntamento che potrebbe rivelarsi ben più drammatico di quello di inizio luglio per le grandi imprese manifatturiere, se solo si pensa a come la crisi ha colpito ristoranti, alberghi, attività culturali e piccoli negozi.

"In termini sociali e politici – spiega Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, il Centro studi fondato da Marco Biagi – la divergenza tra la svolta del Pil e la ripresa stentata dell’occupazione è uno scenario che merita attenzione. Proprio in ragione dei processi di ristrutturazione in atto nelle aziende e della inevitabile selettività della ripresa, non accessibile alle imprese che non sono riuscite a superare l’inaspettata crisi pandemica e hanno definitivamente chiuso i battenti, è probabile che nel breve periodo si osservi il fenomeno della ripresa senza occupazione".

A preoccupare e allarmare sono innanzitutto gli 87 tavoli di crisi aziendali aperti al Ministero dello Sviluppo economico. Whirlpool, Elica, Blutec, ex Embraco, Gkn, Gianetti Ruote sono solo alcune delle aziende che già da qualche settimana sono all’attenzione dell’equipe guidata dalla viceministra, Alessandra Todde. Sullo sfondo rimane in una sorta di terra di nessuno l’atteso decreto Todde-Orlando per arginare il fenomeno delle delocalizzazioni delle imprese.

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, 52 anni (Ansa)
Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, 52 anni (Ansa)

La versione circolata ad agosto, con una raffica di procedure rafforzate per i licenziamenti collettivi e con multe per i gruppi stranieri che lasciano l’Italia, non è stata apprezzata dal ministro Giancarlo Giorgetti, e, a quanto sembra, anche dal premier Mario Draghi, nel timore che siano frenati nuovi investimenti esteri in Italia. "Quello delle delocalizzazioni – ha avvisato – è un problema che esiste, ma le forme d’intervento devono essere compatibili con i principi fondamentali anche a livello comunitario e con l’esigenza che, comunque, il Paese ha bisogno di creare un ambiente favorevole agli investimenti esteri che continuiamo a ricercare". E, d’altra parte, il presidente degli industriali, Carlo Bonomi, è stato netto: "Orlando e Todde pensano di colpire le imprese sull’onda dell’emotività di due o tre casi che hanno ben altra origine". Il risultato, fino a oggi, è lo stallo del provvedimento. "Una cosa innovativa che si potrebbe fare – puntualizza Enzo De Fusco, uno dei principali consulenti del lavoro – è una norma che responsabilizzi e incentivi le imprese gestendo in modo diretto gli esuberi derivanti dalla chiusura del sito produttivo. L’impresa conosce i lavoratori, ha la propria rete attraverso le associazioni di categoria e le agenzie per il lavoro, conosce il territorio in cui ha operato e ha la capacità formativa per riqualificare le persone".

Ma la ripresa senza o con poco lavoro tocca direttamente anche i giovani e i disoccupati più in generale. "È una sorta di trappola – incalza Massagli – e accadrà che tanti che stanno cercando nuova o migliore occupazione finiscano con il domandarsi come sia possibile soddisfare queste richieste delle imprese, senza trovare però servizi privati e pubblici in grado di rispondere alla loro esigenza di formazione e politica attiva. Non a caso da più parti (accademia, responsabili del personale, sindacati) si fa notare al governo che il potenziamento delle politiche attive in questa fase di crescita è ancor più importante della riforma degli ammortizzatori".

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