Il Fintech made in Italy piace agli investitori

L’analisi di BorsadelCredito.it e Politecnico di Milano

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Non solo moda, oggetti di lusso o delizie dell’agro-alimentare. Oltre alle tradizionali eccellenze del made in Italy, oggi nel nostro Paese c’è un settore produttivo emergente che molti non conoscono ma che sembra avere un radioso futuro di fronte a sé. Si tratta del FinTech, un neologismo nato per indicare la crescente applicazione delle nuove tecnologie al mondo finanziario.

Pagamenti istantanei, transazioni digitali o peer to peer lending, cioè prestiti erogati da soggetti privati attraverso lnternet, senza ricorrere al sistema bancario tradizionale. Sono questi alcuni esempi di attività che oggi compongono il variegato mondo del FinTech e che le banche devono osservare con attenzione per non rimanere spiazzate dai cambiamenti in atto. A dirlo è un’analisi compiuta di recente dall’ufficio studi di BorsadelCredito.it, il primo operatore italiano di peer to peer lending per piccole e medie imprese (pmi), che ha già intermediato oltre 73 milioni di euro di finanziamenti. Con l’arrivo dell’anno nuovo, gli analisti di BorsadelCredito.it, hanno tracciato un quadro e delineato le traiettorie di sviluppo del FinTech italiano, giungendo a conclusioni abbastanza confortanti per il nostro Paese. Il 2020 sarà l’anno in cui l’Italia consoliderà la sua posizione di nazione in cui il FinTech attrae di più gli investitori», hanno scritto gli autori del report che citano alcuni dati elaborati all’interno del mondo accademico.

Secondo l’ultimo Osservatorio FinTech & InsurTech del Politecnico di Milano, infatti, in tutto il mondo ci sono 1.210 startup (cioè le aziende in fase di crescita e sviluppo) attive in questo settore, che hanno visto i finanziamenti ricevuti dagli investitori aumentare del 70% tra maggio 2016 e maggio 2018; per le startup italiane del FinTech, però, la variazione dei finanziamenti è stata attorno al 120%, cioè di gran lunga superiore alla media mondiale. Di fronte a tale fenomeno, le banche tradizionali rischiano appunto di risultare in ritardo o comunque in affanno. Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico, ha sottolineato che ben i due terzi della spesa informatica nelle banche italiane è oggi destinata ancora ad attività che non hanno molto a che fare con l’innovazione, per esempio sono destinate alla compliance, cioè al controllo di conformità legale di tutte le procedure operative interne, costrette ad adeguarsi a leggi e regolamenti sempre più stringenti nel settore finanziario. Le banche tradizionali, insomma, rischiano di subire presto la concorrenza di operatori emergenti e molto più snelli di loro come i cosiddetti Big Tech, i colossi tecnologici statunitensi (da Google ad Amazon fino a Facebook) che da tempo studiano la possibilità di allargare il proprio business al mondo dei servizi finanziari.

Del resto, per giganti del comparto tecnologico compiere questa mossa sembra tutt’altro che una scelta azzardata, visto che si tratta di aziende con una base di clienti vastissima, sulla quale hanno accumulato ormai una gran mole di informazioni. A favorire l’ingresso sul mercato dei servizi finanziari delle Big Tech possono essere anche importanti novità normative come la direttiva europea PSD2 (Payment Services Directive 2), che è entrata in vigore di recente e ha lo scopo di stimolare la trasparenza e la maggiore concorrenza nel settore dei pagamenti digitali, anche attraverso l’ingresso di operatori finanziari di origine non bancaria. Tra i cambiamenti che si profilano all’orizzonte nel mondo del FinTech, secondo l’ufficio studi di BorsadelCredito.it, c’è anche una crescente attenzione a nuovi e promettenti segmenti di clientela . È il caso di 6 milioni di partite Iva attive in Italia che chiedono prodotti facili e snelli.

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