"Il Decreto Liquidità lede i diritti del datore di lavoro"

I dubbi dell’avvocato Fabrizio Spagnolo (studio legale Cms)

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"Come operatore del diritto non posso che definirlo un mostro giuridico. Ci auguriamo tutti che in sede di conversione del decreto questa norma venga almeno modificata". L’avvocato Fabrizio Spagnolo (nella foto), socio responsabile del dipartimento di diritto del lavoro dello studio legale Cms, si riferisce all’articolo 2, lettera I, del cosiddetto Decreto Liquidità. Lo studio legale internazionale Cms è uno dei primi dieci per numero di professionisti con una specializzazione mirata in consulenza legale e tributaria. Ha 75 uffici in 43 paesi in tutto il mondo, per un totale di oltre 4.800 professionisti e oltre 1.100 partners: in Italia ha uffici a Roma e Milano ed è attualmente composto da oltre 130 tra professionisti e collaboratori.

Tra l’altro, lo Studio in Italia nasce nel 1901 con il nome di Studio Legale Adonnino Ascoli & Cavasola Scamoni e vanta alle spalle un’esperienza in ambito legale e tributario di oltre 100 anni e assume l’attuale denominazione nel 2002 aderendo a CMS.

Ma che cosa dice la norma all’articolo 2 del Decreto Liquidità? Il decreto ha disposto come noto che Sace S.p.A. debba concedere in via temporanea, e fino al 31 dicembre, in favore di banche e istituzioni finanziarie, garanzie per finanziamenti sotto qualsiasi forma erogabili alle imprese italiane che ne facciano richiesta. L’ammissione al regime delle "garanzie" è stata così subordinata a una serie di condizioni, tra le quali – nell’articolo 2, lettera I - l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali. "Da un punto di vista giuslavoristico, appaiono immediatamente evidenti le problematiche che tale previsione potrebbe porre – spiega Spagnolo – Per prima cosa si deve dire che è una norma troppo generica. E dal tenore letterale della norma sembrerebbe che l’accordo sindacale dovrebbe essere ricercato in tutti i casi in cui si renda necessario un provvedimento espulsivo. Portato all’estremo, il coinvolgimento sindacale sarebbe richiesto anche nei casi di licenziamenti per giusta causa, cagionando conseguentemente una ingiustificabile lesione dei diritti del datore di lavoro".

Anche a voler considerare la norma limitata ai licenziamenti per motivi oggettivi, individuali o collettivi, nulla è previsto per il caso in cui i sindacati vengano coinvolti ma si rifiutino di sottoscrivere l’accordo sindacale. "In questa ipotesi, infatti, il datore di lavoro dovrebbe alternativamente – aggiunge l’avvocato – procedere con i licenziamenti, esponendosi eventualmente al rischio di perdita del finanziamento a causa del mancato rispetto delle garanzie assunte, ovvero sospendere la procedura espulsiva, sopportando così i costi di retribuzioni non più giustificabili".

Secondo l’avvocato Spagnolo la norma è anche in disaccordo con la normativa vigente in tema di licenziamenti: "A questo proposito l’impatto della disposizione appare tanto più dirompente laddove si consideri che il legislatore in materia di licenziamenti collettivi si è limitato a richiedere il coinvolgimento dei sindacati tramite l’invio di una comunicazione contenente le motivazioni alla base del licenziamento collettivo seguito dall’eventuale esame congiunto – spiega – Il mancato raggiungimento dell’accordo non estingue il diritto dell’imprenditore a procedere con il licenziamento collettivo".

In sostanza, tra i rischi della norma, c’è anche quello di far assumere al sindacato un ruolo di veto player: "Un ruolo mai riconosciutogli prima dal legislatore e che forse avrebbe necessitato di una riflessione più approfondita rispetto ai tempi ristretti dettati dall’emergenza sanitaria – aggiunge l’avvocato Fabrizio Spagnolo - Alla luce di quanto precede, una interpretazione meno drastica e più razionale, che maggiormente si concilia con il nostro sistema delle relazioni sindacali, imporrebbe di interpretare la norma nel senso di coinvolgere i sindacati senza necessariamente sottoscrivere un accordo con questi ultimi".

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