
Andrea Orcel, 62 anni, ceo di Unicredit dal 2021, ieri al consiglio. Fabi a Milano
dall’inviato Davide Nitrosi
I tempi della giustizia non sono quelli della finanza e soprattutto gli interessi della politica non convergono sempre con le strategie bancarie. E così il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, deve fare un bagno di realismo, e ammettere che se il Golden Power resta tale e quale l’aggregazione tra Unicredit e Banco Bpm "non è più economica". E quindi potrebbe non andare in porto. Anche perché il ricorso presentato da Unicredit probabilmente non arriverà ad una conclusione prima dei tempi tecnici dell’Ops, che terminerà il 23 luglio. La prima udienza davanti al Tar del Lazio è fissata per il 4 giugno, ma è comunque una corsa contro il tempo. "Il percorso Tar-Consiglio di Stato non arriverà in tempo per darci certezza della chiusura dell’operazione", ammette il ceo. Anche se una porticina resta aperta. "L’operazione può sempre essere riproposta", concede. Ma la frase non suona come una promessa indelebile.
Il percorso è lungo anche perché sul Golden Power posto dal governo sull’Ops è aperto un confronto fra Roma e Bruxelles. Gli Stati, ha detto ieri un portavoce della Commissione, possono "imporre condizioni o bloccare un accordo" su "interessi legittimi non legati alla concorrenza, come sicurezza pubblica, pluralismo dei media o norme prudenziali". Ma se gli interessi sono altri devono essere "giustificati". Il fronte è aperto, la discussione complicata. E il realismo è l’unica bussola. Lo Stato è un primo attore che non può essere ignorato. "Esiste un fattore nuovo nell’M&A in Europa, ovvero l’intervento, il placet dei governi – osserva Orcel –. È sempre esistito ma non a questi livelli". La conseguenza è che gli "ostacoli legali", i "paletti del governo" e il conseguente "aumento del costo economico" mettono a rischio l’operazione.
Il velo si squarcia sul palco del Consiglio nazionale della Fabi, che ogni anno apre la sua assise nazionale a un confronto con i principali ad delle banche. E il tema da prime time è il risiko bancario che vede Unicredit protagonista assoluto. Orcel era attesissimo dopo la prima puntata di lunedì che aveva lasciato col fiato sospeso, quella in cui Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, aveva amichevolmente sconsigliato il collega a intraprendere la scalata di Generali. Il Leone di Trieste non è all’orizzonte di Unicredit, assicura Orcel. E non è una stoccata a Messina, anzi. "Carlo Messina e io ci sentiamo regolarmente. Tento sempre di farmi invitare perché la sua cacio e pepe è la migliore che abbia mai mangiato". Cortesie culinarie e finanziarie.
Siparietto a parte, Orcel continua a difendere la strada intrapresa. Le accuse di sostenere meno di altri il territorio? "I nostri prestiti alle piccole e medie imprese sono saliti del 40% solo nel primo trimestre perché è chiave nella nostra strategia di crescita". E mette sul tavolo i numeri: "Siamo l’unica banca che negli ultimi 3 anni ha dato 35 miliardi di sostegno a tutto il paese". L’italianità? "Abbiamo più titoli di Stato nel nostro portafoglio di qualunque altra banca italiana, inclusa Intesa, e siamo più piccoli".
Primo messaggio “governativo“ inviato. Il secondo messaggio è diretto a Berlino. Oggetto: le mire su Commerzbank e le resistenze, per essere eufemistici, dei tedeschi. "Non abbiamo mai lanciato l’operazione ma abbiamo il 30% di Commerzbank. Non abbiamo nessuna fretta, aspettiamo con calma di poter parlare con le autorità tedesche e di vedere dove andiamo". Anche se, ripete almeno tre volte Orcel, Unicredit ha "il 30%".
Chi osserva da fuori il risiko è il presidente di Credit Agricole Italia, Giampiero Maioli, anche lui al Consiglio Fabi. Vista "la confusione e incertezza sul mercato, credo che fino a oggi la nostra prudenza di non prendere posizione e cercare di capire cosa succede e non essere mai ostili la trovo saggia". Unicredit e Bpm? "Sono 15 anni che abbiamo rapporti di partnership con Banco Bpm. Le cose sono sempre andate bene – assicura Maioli –. E Unicredit è uno dei nostri primi clienti in Europa. Non faccio differenze. Abbiamo sempre cercato di sviluppare accordi con loro, le nostre fabbriche hanno bisogno di piattaforme distributive. Poi in tutte le relazioni bisogna essere in due. Noi siamo ben disposti". Il risiko prosegue. E avrà conseguenze non solo sui giocatori.