Giovedì 18 Aprile 2024

Gli ottanta anni del signor Mediolanum "Dobbiamo costruire un Paese moderno"

Ennio Doris a tutto campo: dal Recovery Fund alle ricette per ripartire. .

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di Sandro Neri

Era pronto a lavorare anche il giorno del suo ottantesimo compleanno. Seduto davanti allo schermo del computer, attendeva l’avvio di una videoconferenza col marketing. "E invece, collegati, c’erano moglie e figli con gli amici di sempre. Mi hanno fatto una sorpresa, e mi sono pure emozionato. Anche perché tra i regali c’era un libro sulla mia vita, con ricordi e interviste a tutte le persone a me più vicine: da mia moglie Lina a Silvio Berlusconi". Ennio Doris, "l’uomo che non smette di sognare" (sottotitolo del libro), più che a fare bilanci di una carriera all’insegna dell’innovazione pensa a suggerire qualche idea per ripartire. "L’Italia - spiega - paga oggi il prezzo di anni di mani bucate. Risalire la china dipende solo da noi. Dalla capacità di arrivare a un paese moderno".

Recentemente ha detto che servirebbe un nuovo piano Marshall. L’accordo portato a casa dal premier Giuseppe Conte sul Recovery Fund gli assomiglia?

"È un primo passo. Parliamo di 390 miliardi a fondo perduto e poi di altri 360 a tassi vicini allo zero, rimborsabili di qui al 2050. Quello che non sono riusciti a fare nell’Ue i politici più visionari l’ha fatto il Covid".

Non è un giudizio clemente.

"Il risultato ottenuto in Europa è merito del virus che ha convinto Germania e Francia della necessità di fare qualcosa di concreto. Se non ci fossro riusciti, l’Europa si sarebbe sgretolata".

A Bruxelles c’è chi non si fida degli italiani.

"Mi chiedo: come è stato possibile che uno dei sei paesi fondatori dell’Ue, una delle grandi potenze industriali, sia finito in fondo alla classifica, con una crescita inferiore a quella di Spagna e Portogallo e con un debito pubblico enorme? È chiaro che qualche responsabilità noi italiani ce l’abbiamo. Ed è ora di cambiare".

Cosa fare per correggere il tiro?

"Essere più pragmatici e meno schiavi dell’ideologia e dei pregiudizi. Prendiamo il Mes: un prestito di 37 miliardi destinati al riordino della sanità. Non prendere quelle risorse dal Mes ma dal mercato costa molto di più: 500 milioni all’anno solo di interessi. Una follia. Che farebbe poi schizzare in alto anche lo spread".

La sua ricetta?

"Politiche fiscali adeguate, interventi per stimolare l’economia e la semplificazione, investimenti in infrastrutture. Ecco, fermiamoci sulle infrastrutture. Ce ne è una che è il simbolo della nostra miopia".

Quale?

"Il ponte di Messina. All’estero si gettano ponti di decine di chilometri e noi non siamo stati in grado di costruirne uno per coprire un chilometro di mare. E in compenso paghiamo il prezzo di una minore competitività e di costi più alti per l’energia".

C’è chi paventa un autunno caldo e si temono tensioni sociali. Eppure i listini azionari mondiali sono quasi tutti tornati a livelli precovid-19. Come mai?

"Si deve all’opera espansiva delle banche centrali e dei governi americano, tedesco e inglese. Hanno tutti messo a disposizione delle aziende e dei privati che hanno perso il lavoro risorse utili ad affrontare la crisi. La gente, prudente, ha preferito non spendere e sono esplosi i depositi in conto corrente".

Come giudica l’operazione Intesa-Ubi. Seguiranno altre aggregazioni?

"Sì, è inevitabile. È come una corsa a eliminazione. In qualsiasi settore quando si parte si è in tanti, ma qualcuno si perde per strada. In Italia agli inizi del Novecento sono nate 300 fabbriche di automobili, 70 solo a Torino. Ma quante ne sono rimaste oggi? Lo stesso sta succedendo nel mondo delle banche. Quella fra Intesa e Ubi è la prima fusione. Nata non per decisione delle due imprese, ma dall’offerta di quella più grande. Succederà ancora".

Mediolanum, la sua banca, nacque senza sportelli e nessuno credeva potesse funzionare. Oggi tutte vorrebbero alleggerirsi delle filiali.

"Tutte stanno venendo nella nostra direzione, per investire in tecnologia. Il problema però non è solo di strategia ma di cultura, di formazione. La nostra rivoluzione è stata nel modo di lavorare nella consulenza finanziaria".

Fedele Confalonieri scrive di lei: "Ha inventato la finanza popolare". In che senso?

"Che ho avvicinato il risparmiatore alle opportunità del mercato. Investire nell’economia mondiale, oggi, è il solo modo per far fruttare i risparmi. Nel periodo gennaio-maggio 2020, la banca ha registrato, rispetto al mercato delle Reti, il 29% della raccolta fondi, il 38% per i mutui, il 79% per i prestiti personali e il 98% della protezione. Bene anche la semestrale con le masse in gestione tornate ai valori pre-covid oltre 85 miliardi di euro, la raccolta netta totale che ha superato i 5 miliardi di euro e il Common Equity Tier 1 ratio (“indice di solidità patrimoniale”) pari al 19,3%, ai massimi livelli del settore bancario".

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