Mercoledì 24 Aprile 2024

Dove sono i giacimenti di gas in Italia e perché sono poco sfruttati

Il nostro Paese possiede riserve tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi di metano: ne estrae poco più di 3 miliardi l'anno, pari solo al 4% dei consumi. Scarsi investimenti e problematiche ambientali, il caso Venezia

Piattaforma per l'estrazione di metano a Ravenna (Foto Corelli)

Piattaforma per l'estrazione di metano a Ravenna (Foto Corelli)

Ogni mese si estraggono circa 250-300 milioni di metri cubi di gas metano dai giacimenti italiani, soprattutto in Valpadana, in Val d’Agri (Potenza) e da sotto i fondali dell’Adriatico centrale e settentrionale. I giacimenti minori, una costellazione di centinaia di piccole sacche di gas sotto tutta la penisola, sono poco sfruttati perché danno poche centinaia di milioni di metri cubi di gas contro investimenti ingenti di ricerca, perforazione e sviluppo. Però ci sono ancora riserve importanti e appetitose: "Il nostro Paese, a fronte di riserve accertate comprese tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, produce attualmente poco più di 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno (4% dei consumi), con una diminuzione di circa 6 volte rispetto ai livelli di fine anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo", si legge nel rapporto dell’ufficio studi di Cassa depositi e prestiti dedicato alla sicurezza energetica dell’Italia. In pratica, estraendo tutte le riserve accertate potremmo coprire un po' più di un anno di consumi, che nel 2021 sono stati di 76 miliardi di metri cubi.

Obiettivo 6 miliardi metri cubi estratti l'anno

A queste riserve punta il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che vorrebbe raddoppiare quegli esausti 3,34 miliardi di metri cubi di metano estratti nel 2021 dal sottosuolo italiano, per arrivare a circa 6 miliardi di metri cubi all'anno. Tuttavia, stando al rapporto di Cdp, "guardare alle risorse interne per garantire una maggiore autonomia e resilienza del sistema appare una strada difficilmente percorribile".

Gli investimenti scarsi e la questione ambientale 

A ben guardare, infatti, la storia è più complessa di come sembra considerando unicamente i numeri di ieri e quelli attuali. "Il progressivo declino del settore estrattivo nazionale", argomenta l’ufficio studi di Cassa depositi e prestiti, "è da ricondursi non solo alla riduzione degli investimenti necessari alla ricerca e allo sviluppo dei giacimenti, ma soprattutto alla crescente attenzione, anche da parte delle comunità locali, all’impatto delle attività sul territorio".

Il caso Venezia

"L’obiettivo di salvaguardia dell’ecosistema dai rischi ambientali e sismici, infatti, ha portato l’Italia, come molti Paesi europei, a rinunciare all’adozione delle tecnologie di fracking e, più in generale, a ridurre drasticamente le aree di operatività". Secondo Cdp il problema principale, oltre alla frammentazione delle risorse, è che l’ammontare più significativo di riserve è localizzato nel golfo di Venezia, dov'è imposto il divieto di estrazione per salvaguardare la laguna. "La riduzione della capacità estrattiva ha dei motivi, non abbiamo semplicemente chiuso i pozzi per uno sbalzo d'umore", spiega Roberto Bianchini, direttore dell'Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano.

"Il costo dell'estrazione del gas da un singolo giacimento aumenta nel tempo e a volte diventa economicamente svantaggioso proseguire. In altri casi i giacimenti non furono sfruttati, prima perché non avevamo la tecnologia per farlo in modo vantaggioso e in seguito per aver scelto di non usare la fratturazione idraulica o fracking per i rischi ambientali".

I principali giacimenti italiani 

I giacimenti attivi sono circa 1.300, anche se quelli che vengono realmente utilizzati con continuità superano di poco quota 500. Il 55 per cento del gas estratto in Italia arriva dai giacimenti in mare, cioè dall'Adriatico settentrionale (Veneto, Emilia-Romagna e Marche), e il resto dalla terraferma, principalmente dalla Basilicata, che da sola vale il 34% di quel 45% proveniente dai pozzi di terra. Il progetto del ministro potrebbe coinvolgere, in sostanza, i giacimenti già vicini all’avviamento, come Argo e Cassiopea di Eni nel Canale di Sicilia, che potrebbero erogare alcune centinaia di milioni di metri cubi l’anno per una dozzina d’anni, o il futuro giacimento Longanesi da 5 miliardi di metri cubi a Lugo di Romagna. E poi c’è un gran numero di giacimenti sfiatati, perché da una ventina d’anni si sono fermati gli investimenti in ricerca e sviluppo delle riserve. Ma per un raddoppio della produzione italiana, se mai ci si arrivasse, ci vorranno molti anni.