Gas e petrolio russi: quanto hanno pagato i paesi della Ue dall'inizio della guerra

I dati forniti dal Centro per la ricerca sull'energia: quali sono i migliori clienti di Mosca

Mentre a Bruxelles l’ipotesi di un embargo al petrolio russo ha trovato la ferma opposizione dell’Ungheria, che ha minacciato il veto sul sesto pacchetto di sanzioni, i Paesi europei continuano a importare greggio e gas da Mosca. Seppure a ritmi ridotti rispetto all’inizio dell’anno, infatti, gli acquisti proseguono. Il governo tedesco ha fatto sapere che, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, le importazioni di petrolio dalla Russia sono passate dal 35% al 12%. Cifre che raccontano l’impegno profuso da alcuni Stati nel bloccare i finanziamenti al Cremlino ma che fotografano anche l’entità del problema.

Le cifre

A tratteggiare un quadro preciso del flusso di denaro che è arrivato a Mosca negli ultimi mesi è stato il Centre for Research on Energy (Crea). Dall’inizio del conflitto, la Russia ha esportato 63 miliardi di euro di combustibili fossili attraverso gasdotti e navi, il 71% dei quali è arrivato in Europa. Si tratta di circa 44 miliardi di euro in poco più di due mesi, pagati soprattutto da Germania e Italia, i maggiori clienti di Mosca. Il nostro Paese ha acquistato gas e petrolio per 6,9 miliardi di euro, più che la Cina (6,7 miliardi), mentre le somme versate da Berlino ammontano a 9,1 miliardi. E questo nonostante si sia registrato un calo delle consegne. Molti importatori europei, infatti, evitano di acquistare i beni energetici russi spediti via mare, nonostante non si tratti di prodotti soggetti a sanzioni. La riduzione ha riguardato in particolare il carbone, in discesa del 40% rispetto a gennaio-febbraio, e il petrolio, calato del 20% sullo stesso periodo. Al contrario, sono aumentati del 10% gli acquisti attraverso gasdotti e oleodotti.

Il contraccolpo sulla Russia

Il danno per la Russia è significativo: a gennaio e febbraio, infatti, le spedizioni marittime costituivano circa la metà del valore totale delle esportazioni russe. Insomma, negli ultimi mesi le forniture via nave sono state ostacolate dall’incertezza generata da un quadro normativo in costante evoluzione. Con gran parte del sistema bancario russo sottoposto a sanzioni e il rischio che anche transazioni lecite possano rimanere intrappolate nella tela dei circuiti di pagamento internazionali, molti operatori hanno cercato così fornitori alternativi. In altre parole, hanno marginalizzato la Russia. Tuttavia, la scelta fatta dagli importatori europei, complice l’ascesa dei prezzi del metano e del greggio, non ha pesato più di tanto sulle entrate di Mosca. Almeno per il momento.

Il futuro

Guai più seri potrebbero invece verificarsi nelle prossime settimane. La Russia, infatti, fatica a dirottare i carichi verso altri Paesi. “C’è stato un incremento nel numero delle navi che lasciano i porti russi senza una destinazione precisa”, si legge nel rapporto di Crea. Inoltre, l’aumento delle forniture ad altri Paesi non riesce a compensare la riduzione degli acquisti europei. “C’è un chiaro trasferimento delle spedizioni verso India, Egitto e altre destinazioni “insolite” per l’export russo”, prosegue lo studio, “tuttavia le consegne a queste nuove destinazioni non sono neanche lontanamente vicine a rimpiazzare il calo dell’export verso l’Europa”. Con i depositi ormai saturi, il rischio per la Russia è quello di non sapere dove mettere il gas e il petrolio rimasti invenduti e di dover fermare la produzione, danneggiando i pozzi.

Entrando più nel dettaglio del report di Crea, si scopre l’importanza di Mosca per le forniture energetiche europee. L’Ue ha acquistato il 30% del carbone esportato dalla Russia dall’inizio della guerra, il 50% del greggio, il 70% dei prodotti della raffinazione de petrolio e il 90% del gas. Per quanto riguarda le importazioni via nave, 6 porti europei hanno contato per un quarto del totale dei volumi. In poco più di due mesi, Rotterdam ha ricevuto combustibili fossili russi per un valore di 1,5 miliardi di euro, Maasvlakte in Olanda per 1,2 miliardi e Trieste per un miliardo.