Martedì 23 Aprile 2024

Quanto costa la fuga di cervelli all'Italia. L'idea delle Free zone

Ogni anno emigrano 50mila lavoratori qualificati mentre sono pochi quelli che arrivano. Sono sei milioni gli italiani residenti all'estero: 650mila nel Regno Unito

Cervelli in fuga, foto generica (iStock)

Cervelli in fuga, foto generica (iStock)

Sono migliaia i giovani che, ogni anno, lasciano l’Italia per andare in cerca di fortuna all’estero. Spesso si tratta di laureati e professionisti che sono alla ricerca di migliori opportunità di lavoro, soprattutto in termini di retribuzioni.

Ma ci sono anche moltissimi giovani senza particolari titoli di studio che, attratti da guadagni più alti o spinti dalla mancanza di occasioni in Italia, decidono di trasferirsi. La fuga dei cervelli, come viene chiamata, anche se recente, non è un fenomeno nuovo, anzi.

Ma ora c'è un nuovo allarme: negli ultimi anni Italia è diventata esportatore netto di cervelli. In altre parole, ne perde di più di quanti ne attrae. Il fenomeno è stato analizzato, in uno studio, dal professor Brunello Rosa, docente della prestigiosa LSE (London School of Economics) e anticipato da Il Sole 24 Ore.

La maggior parte di questi giovani fugge a Londra o nel Regno Unito, percepito come il Paese più dinamico (tra quelli più vicini). Si contano circa 650mila italiani in Gran Bretagna. Ma il Regno Unito non è il solo paese tra le destinazioni scelte. Nel complesso, secondo il Ministero degli Esteri 6 milioni di italiani vivono all’estero. Un terzo, circa 2 milioni, sono lavoratori qualificati: il grosso di loro viene dal Meridione (780mila dalla Sicilia). Ma soprattutto sono tutte risorse ad alto valore intellettuale: mentre in Italia il 25% dei giovani sopra i 25 anni ha una laurea, tra gli emigrati la percentuale sale al 33%. Il danno, non solo economico ma anche demografico vista la denatalità galoppante che affligge il nostro Paese, è enorme.

L’Italia, infatti, perde prezioso capitale umano che ha contribuito, attraverso le scuole e l’università pubblica, a formare (senza contare gli investimenti delle famiglie) ma nello stesso tempo non risulta attrattiva per i talenti che vivono all’estero. Vediamo un po’ di dati. Nel 2019, su 332mila ingressi in Italia, 68mila erano emigrati che rimpatriavano, il resto rumeni, brasiliani e albanesi.

Il conto salato

Insomma, non siamo un Paese che attrae lavoratori e ricercatori qualificati. Se si considera che dal 2015 a oggi ogni anno sono emigrati dall’Italia 50mila giovani lavoratori, la perdita di investimento per il Paese è di 14 miliardi di euro all’anno.

Si tratta di un fenomeno ormai irreversibile? Siamo destinati a tornare strutturalmente un Paese di emigranti? Lo studio propone alcune soluzioni per governi e decisori. Innanzitutto, più che impedire la fuga dei cervelli, che in parte è fisiologica, l’Italia deve lavorare per attrarre altri talenti con cui compensare quelli persi.

Le Free Zone

Una soluzione potrebbe essere quella di istituire, in ogni capoluogo di regione, delle Zone Economiche Speciali (le cosiddette Free Zone che già esistono in molti Paesi). E poi invogliare la circolazione dei cervelli utilizzando la leva degli incentivi fiscali, che in parte già esistono.

È infatti prevista una tassazione ridotta per i professionisti che decidono di rientrare in Italia. Questa misura, stando ai dati, è stata un successo, ma riguarda solo i rimpatri e non punta ad attrarre talenti da tutto il resto del mondo. L’unico provvedimento di respiro internazionale è la cosiddetta Ronaldo Tax. Secondo la ricerca di Rosa, occorre anche creare dei contratti di lavoro con una legislazione riservata a chi ha fatto esperienza all’estero per almeno 5 anni. Ma, soprattutto, la cosa più importante è evitare che chi è tornato in Italia decida di andarsene di nuovo.

Già, perché abbassare le tasse non basta. Certo, gli incentivi fiscali, soprattutto all’inizio, funzionano. Ma spesso una fetta consistente di rimpatriati emigra di nuovo, forse perché non più abituata a fare i conti con una burocrazia oppressiva e con le storture del mercato del lavoro italiano. Vasto programma, si direbbe.

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