Mercoledì 24 Aprile 2024

Flat tax: ecco i Paesi che l'hanno adottata

Negli ultimi anni molti l'hanno abbandonata, a favore di un sistema progressivo. Il motivo? aumentare il gettito e ridurre le disuguaglianze

Tasse

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Contestata da alcuni a causa del suo carattere regressivo, invocata da altri per semplificare il sistema fiscale, la flat tax è uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del centrodestra. La Lega la vorrebbe al 15%, estendendola prima alle partite Iva fino a 100mila euro e poi anche ai lavoratori dipendenti, Forza Italia al 20%. Ma l’introduzione dell’aliquota unica uguale per tutti non è stata ancora sperimentata nei Paesi occidentali. Quasi tutti, infatti, hanno un sistema progressivo, nel quale all’aumentare del reddito cresce anche in percentuale il prelievo fiscale. Certo, i benefici della flat tax sarebbero grandi, almeno secondo i suoi sostenitori. Una riduzione delle tasse porterebbe a maggiore crescita economica mentre la semplicità del sistema farebbe emergere una parte consistente di sommerso. Insieme i due effetti avrebbero come risultato un aumento del gettito fiscale che potrebbe persino consentire alla flat tax di autofinanziarsi. In altre parole, non ci sarebbe nessun buco nel bilancio dello Stato.

Ma è davvero così? Secondo una recente analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici, le cose stanno in modo un po’ diverso. Innanzitutto, non è un caso che gli unici Paesi ad aver introdotto (e poi abbandonato) la “tassa piatta” siano soprattutto quelli dell’est Europa. Fino a pochi anni fa erano 15 gli Stati nei quali era in vigore la flat tax. Ora, invece, sono soltanto otto. Vediamo. Attualmente la “tassa piatta” sul reddito delle persone fisiche esiste in Russia (13%), Estonia (20%), Romania (10%), Bosnia-Erzegovina (10%), Bielorussia (13%), Bulgaria (10%), Ucraina (18%) e Ungheria (15%). Questo mentre altri sette Paesi - come la Serbia, la Repubblica Ceca, la Lituania - negli ultimi vent’anni sono passati a un sistema progressivo. Già: tutti gli Stati nei quali vige (o vigeva) la flat tax facevano parte del blocco sovietico.

L’introduzione di un tale sistema fiscale rispondeva infatti alle contingenze storiche dei primi anni novanta, quando la dissoluzione dell’Unione Sovietica trascinò con sé tutti i regimi comunisti europei. Così, dall’oggi al domani, Paesi che da oltre quarant’anni praticavano il socialismo reale, si trovarono costretti a passare a un’economia di mercato. Siccome non esisteva un vero e proprio sistema fiscale - la maggior parte dei lavoratori era impiegata nel settore pubblico e le imprese erano di proprietà dello Stato - i governi usciti dalla dissoluzione dell’Urss e del Patto di Varsavia dovettero dotarsi un’amministrazione fiscale il più in fretta possibile. La soluzione a portata di mano era appunto, per la sua semplicità, la flat tax. Quasi tutti governi dell’est Europa, a eccezione della Russia (dove esisteva soltanto un’imposta simile all’Iva) introdussero sistemi di tassazione del reddito a una o due aliquote. Poi, sul finire degli anni ’90, con l’obiettivo di aumentare il gettito, passarono tutti alla flat tax (quasi sempre pari all’aliquota massima del vecchio sistema). Ad esempio, la Lituania è passata da avere due scaglioni (18 e al 33%) ad una aliquota unica del 33. La Lettonia, invece, da un sistema fiscale regressivo a due scaglioni (25 % per i redditi più bassi e 10% per quelli più alti) ad una flat tax del 25%.

Perché, però, negli anni successivi, molti Paesi abbandonarono la “tassa piatta”? Secondo i ricercatori dell’Ocp, perché un sistema progressivo contribuisce ad aumentare il gettito fiscale e riduce le disuguaglianze. Un caso interessante da studiare è la Russia, dove la flat tax, introdotta nel 2001, è ancora in vigore. L’aliquota unica, oggi al 13%, sostituì i tre scaglioni precedenti (10, 20, 30%). Contestualmente venne ampliata anche la no tax area, ovvero la parte del reddito che non viene tassata. I risultati, in apparenza, furono entusiasmanti: nel 2001 e nei due anni seguenti, le entrate fiscali aumentarono al netto dell’inflazione rispettivamente del 26, del 21 e del 12% a fronte di una crescita del Pil che, seppur elevata, fu molto più modesta (5, 4,7 e 7,3%). Tra il 2001 e il 2003 il rapporto tra gettito fiscale e Pil è passato dal 2,4 al 3,4%. Tuttavia, i benefici della flat tax russa sono più apparenti che reali.

“Gli studi disponibili” si legge nell’analisi dell’Ocp, “tendono a negare che ci sia un nesso causale fra la questi risultati e l’introduzione di un’aliquota unica”. Prima di tutto, la riforma dell’imposta sul reddito fu accompagnata da un ampio pacchetto di modifiche del sistema fiscale varate in seguito alla crisi del debito sovrano del 1998. In secondo luogo, non venne introdotta una flat tax vera e propria: le riforma, piuttosto, “ampliò la base imponibile, eliminò una serie di possibilità di elusione per i redditi da capitale, ridusse le aliquote massime”. Non solo. Anche l’Erario cambiò faccia: l’apparato di riscossione e il sistema sanzionatorio vennero profondamente rivisti. Infine, se è vero che si registrò una forte crescita economica, è anche vero che questa iniziò prima dell’introduzione della flat tax e fu innescata soprattutto dall’aumento dei prezzi degli idrocarburi. Insomma, le cause del boom dell’economia russa di inizio anni 2000 furono diverse e non riconducibili soltanto alla flat tax.