di Antonio Troise
"Non saremo spettatori". Il leader della Cgil, Maurizio Landini, lancia un segnale di guerra al governo da Roma, da una delle tante piazza italiane dove i sindacati hanno manifestato contro la manovra del 2022. Pomo della discordia, il primo step della riforma fiscale messo a punto dal ministero dell’Economia insieme con le forze politiche della maggioranza.
Un meccanismo che proprio non va giù ai rappresentanti dei lavoratori. Soprattutto per un particolare: privilegia troppo il ceto medio e lascia a bocca asciutta i più poveri, fino ai 15mila euro, per i quali l’aliquota resta al 23%. Il taglio comincia dalla fascia compresa tra i 15mila e i 28mila, con una riduzione dell’Irpef di due punti (dal 27 al 25%) e diventa più consistente (tre punti percentuali, dal 38 al 35%) per i redditi fra i 28mila e i 50 mila euro. Oltre questa soglia la tassazione passa al 43%, uno scaglione che attualmente scatta solo a 75mila euro. Salta, quindi, l’aliquota del 41% destinata oggi ai redditi oltre i 55mila euro.
I sindacati non hanno dubbi: il primo modulo della riforma fiscale non può partire che dai lavoratori e pensionati. Una strategia che i leader di Cgil, Cisl e Uil rilanceranno domani, quando si troveranno seduti allo stesso tavolo con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, proprio per affrontare il nodo delle tasse. Anche dalla Confindustria non mancano i rilievi critici. A cominciare dalla dote messa in campo dall’esecutivo. "Otto miliardi sono pochi – spiega il numero uno degli imprenditori, Carlo Bonomi –. Ne servirebbero almeno 13". E la priorità, sempre secondo le imprese, non è tanto quella dell’Irpef ma del cuneo fiscale. "Occorrerebbe tagliare di due terzi i contributi a carico dei dipendenti e di un terzo quelli che gravano sulle imprese". E, invece, nella proposta dell’esecutivo, agli imprenditori vanno solo le briciole. Se si esclude il taglio dell’Irap destinati ai lavoratori autonomi e alle partite Iva, una riduzione che dovrebbe assorbire circa un miliardo di euro.
Diversa, ovviamente, la posizione del sindacato che punta soprattutto a dirottare gran parte degli 8 miliardi disponibili ai redditi da lavoro e da pensioni più bassi. "Non ci può essere un’operazione che tutela le fasce medio-alte lasciando zero fino a 15mila euro. È un’operazione ingiustificabile".
Da qui l’idea di ampliare ulteriormente la cosiddetta no-tax area e di agire sulle detrazioni e deduzioni fiscali, "un primo tassello in vista di una riforma equa e complessiva che per loro renda strutturale il taglio delle tasse", sentenzia Landini. Quanto alle imprese, sempre secondo il leader della Cgil, hanno poco da rivendicare: "Dal 2015 ad oggi hanno incassato qualcosa come 180 miliardi di euro senza condizionalità. Non è il momento di parlare dell’Irap".
Un po’ a sorpresa, a fianco dei sindacati, c’è anche il leader di Azione, Carlo Calenda, che boccia l’idea di utilizzare i 7 miliardi esclusivamente per l’Irpef: "Avrà effetti regressivi". Ancora critiche, infine, da Fratelli d’Italia, che punta l’indice sulla riforma del catasto prevista dalla manovra, sia pure con tempi medio-lunghi: "Sarebbe una doppia beffa per gli italiani. Non solo non si riducono le imposte ma si introduce una patrimoniale occulta", dichiara Giorgia Meloni.