Mercoledì 24 Aprile 2024

Fisco, cedolare secca sugli affitti artigiani

La norma conta su una maggioranza superiore a quella di governo. Allo studio anche l’alleggerimento degli scaglioni per i ceti medi

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di Antonio Troise

Il conto alla rovescia è cominciato. Il governo ha appena dodici giorni per approvare la legge delega e disegnare il nuovo sistema fiscale. Una riforma prevista nero su bianco dal Pnrr presentato a Bruxelles. Ma, nel frattempo, il Parlamento ha deciso di muoversi in autonomia, proponendo di introdurre la cedolare secca al 10% sugli affitti dei locali per gli artigiani. L’idea è contenuta in un disegno di legge parlamentare (Misure per la tutela e lo sviluppo dell’artigianato nella sua espressione territoriale, artistica e tradizionale) a prima firma Stefano Collina (Pd) ma che comprende esponenti di diversi gruppi, dal Movimento 5 stelle a Italia viva, passando per Fratelli d’Italia e Udc. Insomma, una coalizione addirittura più ampia del perimetro della maggioranza che sostiene Draghi. Il testo, presentato il 4 marzo, è ora all’esame della commissione Industria del Senato. In particolare, la cedolare riguarderebbe i canoni di locazione per i locali che non superano i 600 metri quadri.

L’obiettivo è tutelare e sviluppare l’impresa artigiana "artistico-tradizionale" che ha come scopo prevalente la produzione di beni, "anche semilavorati", dotati di particolare "valore creativo ed estetico". Le imprese artigiane rappresentano nel complesso il 21,5% delle aziende italiane con un organico di 2,7 milioni di lavoratori.

La loro presenza è più marcata nel Nord (29,3% in Valle d’Aosta, 28% in Emilia Romagna, 27,4% in Friuli-Venezia Giulia, 27,2% in Piemonte) rispetto a quelle del Sud (11,6% in Campania, 15,7% in Sicilia 17,6% in Calabria, 17,8% in Puglia). Il settore numericamente più rilevante è quello delle costruzioni (492.753 imprese, il 38% del totale).

Il settore è stato particolarmente colpito dalla crisi: sono circa 200mila, infatti, le botteghe che fra il 2008 e il 2018 sono state costrette a chiudere i battenti. Ed è probabile che i dati siano peggiorati negli ultimi due anni a causa del Covid. Ma non c’è solo la cedolare secca nel menu della nuova riforma del fisco allo studio del governo. Il 30 giugno, dopo sei mesi di confronti e scontri nelle commissioni Finanze di Camera e Senato, i partiti hanno raggiunto un compromesso in un documento di una trentina di pagine inviato al Mef. Ma, in realtà, più che un articolato si tratta di un insieme di linee guida che toccherà al governo tradurre in norme. Al centro della riforma dovrebbe esserci il taglio delle tasse sui ceti medi, quelli compresi fra i 28mila e i 55mila euro di reddito annuo, per i quali l’aliquota scatta dal 27 al 38%.

Resta però da sciogliere il nodo degli scaglioni: adottare, cioè, il modello tedesco con una sorta di "progressività continua", oppure ridurre le aliquote da 5 a 3. Sul tavolo anche la cancellazione dell’Irap, la semplificazione dell’Ires, la riduzione delle tasse sul lavoro e l’abolizione di alcune microtasse, dal super-bollo all’imposta di laurea. Un pacchetto di misure che costerebbe fra i 10 e i 15 miliardi. Anche se secondo alcune stime il conto potrebbe anche raggiungere i 40 miliardi. Costi che andrebbero comunque recuperati all’interno del sistema, rivedendo le attuali deduzioni e detrazioni fiscali (tax-expenditures).

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