
DALLA GUERRA dei dazi al pericolo di un ritorno dell’inflazione che potrebbe impattare sulle decisioni delle banche centrali sul fronte...
DALLA GUERRA dei dazi al pericolo di un ritorno dell’inflazione che potrebbe impattare sulle decisioni delle banche centrali sul fronte del taglio dei tassi. Sono tante le incognite all’orizzonte del panorama economico-finanziario. Incognite che riguardano quindi anche le scelte di investimento. Ma come muoversi in questo scenario? Innanzitutto, esordisce Filippo Casagrande (nella foto a destra), responsabile investimenti Generali Investments, il rischio dazi non è accantonato. "È vero che probabilmente gli accordi finali vedranno tariffe più basse rispetto a quelle presentate il 2 aprile, ma con ogni probabilità i livelli saranno ben più alti rispetto a quelli in vigore prima della nuova presidenza di Trump negli Stati Uniti". L’impatto economico-finanziario della guerra commerciale, inoltre, non è ancora chiaro. Al momento, aggiunge Casagrande "c’è stato un deciso deterioramento delle stime di crescita per gli Stati Uniti per quest’anno e le aspettative di vendita per i prossimi 12 mesi sono salite in misura decisa negli ultimi mesi".
Infine l’agenzia Moody’s ha tagliato il rating degli Stati Uniti, portandolo da tripla A ad Aa1. I mercati stanno da tempo prezzando un peggioramento delle dinamiche fiscali statunitensi e l’elevata necessità di finanziamento causano la volatilità sulle obbligazioni del Tesoro Usa, nonché sul dollaro. La poca prevedibilità delle politiche oltreoceano sembra favorire quindi il mercato europeo. Ossia, pur non priva di problemi strutturali (bassa crescita, dipendenza energetica, conflitto Russia-Ucraina), l’Eurozona gode in questo momento di una congiuntura ragionevolmente favorevole, grazie alla prospettiva di politiche fiscali più espansive in Germania, una migliore dinamica di crescita in quella che una volta era la periferia, livelli di rischio sovrano contenuti e prezzi dell’energia a livelli bassi se confrontati con quelli degli ultimi anni.
Per quanto riguarda l’inflazione, i timori sui dazi hanno spinto al rialzo le previsioni per gli Stati Uniti. L’ attesa per il 2025 è ora al 3,2% mentre nel 2026 gli analisti si aspettano un tasso medio del 2,8%. Al contrario, per l’Eurozona le stime rimangono invariate o in marginale calo (+2,1% nel 2025 e 1,9% nel 2026). Guardando avanti, prosegue Casagrande "continuiamo a vedere una persistenza dell’inflazione dei servizi a livelli elevati. E’ difficile vedere un calo significativo di questa componente in assenza di un deterioramento marcato del mercato del lavoro. Di certo, sappiamo che i bassi livelli del petrolio e dell’energia sono un fattore chiave per contenere le pressioni al rialzo dell’inflazione e questo dà tempo alle banche centrali (Fed in primis) per valutare con più calma l’evoluzione della situazione sui prezzi".