
SARÀ O NON SARÀ un nuovo 2008? È l’interrogativo che da qualche settimana serpeggia sui mercati finanziari di fronte al crack di Evergrande, società di costruzioni cinese che soffre già dal 2021 ma che oggi è letteralmente con l’acqua alla gola, avendo oltre 300 miliardi di dollari di passività finanziarie per le quali ha presentato un piano di ristrutturazione del debito. Vicina al crack e con i creditori alle calcagna, Evergrande ha visto le sue azioni tornare sulla borsa di Hong Kong la scorsa settimana, dopo un lungo periodo di sospensione. Il tonfo nel primo giorno di negoziazione è stato plateale (-88%) e, proprio per questo, nella comunità finanziaria ci si chiede se possa avvenire qualcosa di simile a quanto accadde nel 2008, quando il fallimento della casa d’affari americana Lehman Brothers ebbe un effetto-contagio e mise in ginocchio l’intero sistema bancario occidentale provocando un crollo dei listini e la peggiore recessione dal dopoguerra.
Può accadere di nuovo, seppur dall’altra parte del globo? Ben Bennett (nella foto sopra a destra), che guida le strategie di investimento e la ricerca nella casa d’investimenti internazionale Lgim, per ora è ottimista: "Riteniamo prematuri e fuori luogo i paragoni con la crisi finanziaria degli Stati Uniti nel 2008", dice Bennet, secondo il quale la Cina sta comunque affrontando una situazione tutt’altro che facile: dopo un lungo periodo di sovra-investimenti, in particolare nel settore immobiliare abitativo, è probabile che la crescita della Repubblica Popolare si attesti in futuro attorno alla metà di quella osservata nei 15 anni prima della pandemia di Covid-19. Su questo punto, a detta dello strategist di Lgim, ci sono indubbie somiglianze con il Giappone che, negli anni Novanta, vide dimezzarsi la sua crescita economica dopo una bolla finanziaria nel paese. "Tuttavia", aggiunge Bennet "anche se questo passaggio a un modello di crescita inferiore sarà probabilmente doloroso, si tratta comunque di una transizione che la Cina può gestire, visto che le autorità resteranno vigili e pronte ad agire qualora la situazione dovesse peggiorare".
Ma come si è arrivati a questa situazione? A spiegarlo chiaramente, in un paper pubblicato di recente, è stato Giorgio Broggi, analista della società di gestione patrimoniale indipendente di Moneyfarm. "Nel corso degli ultimi tre decenni", scrive Broggi, la Cina è passata da essere un paese in via di sviluppo, prevalentemente agricolo, a una delle principali potenze industriali ed economiche del mondo". Sull’onda di questo successo dirompente, tra il 1980 e il 2021 le città cinesi sono state chiamate ad accogliere 700 milioni di nuovi abitanti, quasi il 10% dell’intera popolazione mondiale.
Ora, però, i nodi vengono al pettine. L’eccesso di domanda di abitazioni ha permesso alle aziende del settore immobiliare come la famigerata Evergrande di aumentare a dismisura i loro debiti. Inoltre, come se non bastasse, sono stati utilizzati in Cina degli schemi che consentono alle imprese di costruzione di ottenere credito accollando parte del rischio direttamente ai compratori. "Di norma - ricorda ancora Broggi - agli acquirenti di un immobile viene chiesto di anticipare anche fino al 30% del valore di acquisto ancora prima dell’effettiva costruzione, creando un circolo vizioso dove soltanto gli anticipi su nuove case consentono di completare gli immobili non ancora costruiti". Questo fenomeno è aggravato poi dai governi locali, per i quali la tassazione sulla vendita e la locazione dei terreni è arrivata a rappresentare il 37% del totale degli introiti fiscali nel 2021. Ma le bolle speculative come questa, si sa, rischiano prima o poi di scoppiare all’improvviso ovunque si trovino, fossero anche nella lontana Cina.