Mercoledì 18 Giugno 2025
SIMONA BALLATORE
Finanza e Risparmio

Così la guerra dei dazi potrebbe indebolire gli stessi Usa

"GLI STATI UNITI pensano di poter vincere la guerra dei dazi, ma se rispondessero tutti allo stesso modo ci perderebbero:...

DALLE STIME ALLE PREVISIONI Nella foto Luca Macedoni, docente di Economia Politica al Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università Statale di Milano che ha analizzato l’impatto dei dazi e gli scenari, simulando situazioni possibili e potenziali effetti sull’economia statunitense

DALLE STIME ALLE PREVISIONI Nella foto Luca Macedoni, docente di Economia Politica al Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università Statale di Milano che ha analizzato l’impatto dei dazi e gli scenari, simulando situazioni possibili e potenziali effetti sull’economia statunitense

"GLI STATI UNITI pensano di poter vincere la guerra dei dazi, ma se rispondessero tutti allo stesso modo ci perderebbero: se non trovano accordi ne usciranno indeboliti". Luca Macedoni, docente di Economia Politica al Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università Statale di Milano, insieme al suo team di ricerca e a colleghi internazionali, ha esaminato le implicazioni dei dazi promessi il Giorno della Liberazione. L’analisi - con i potenziali effetti sull’economia statunitense e globale a seconda della tipologia di dazi applicata e al Paese verso il quale sono diretti - è fresca di pubblicazione sulla Working Paper Series del National Bureau of Economic Research.

Tre gli scenari. Quali?

"Siamo partiti dallo stato dell’arte dei modelli di commercio internazionale, frutto della letteratura economica e che rappresentano il culmine della ricerca degli ultimi decenni: con questi modelli possiamo prevedere cosa succederà ai prezzi, all’occupazione, al benessere del Paese. Il primo scenario si riferisce alla situazione attuale, nel secondo si inseriscono i dazi “preannunciati“ da Donald Trump - al 10% per tutti con correzioni al rialzo per i Paesi con surplus commerciale con gli Stati Uniti- nel terzo si stima l’impatto delle contromosse prese dagli altri Paesi".

Risultato?

"Gli Stati Uniti potrebbero trarre beneficio dalla politica dei dazi e ridurre il proprio deficit commerciale solo nel caso in cui i partner commerciali non rispondessero con ritorsioni. Tuttavia, i relativi guadagni in termini di benessere complessivo per l’economia americana sarebbero comunque decisamente modesti se non praticamente inesistenti. Il welfare migliora dell’1.13%, l’occupazione dello 0,32% e i prezzi aumentano molto, di oltre il 12%. Il deficit si riduce ma a discapito degli altri Paesi del mondo. Prevedibile quindi che gli altri cerchino delle strategie".

Ovvero contro-dazi.

"E gli Stati Uniti ne uscirebbero indeboliti. Nel nostro studio esaminiamo anche cosa succede nella guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina e tra Stati Uniti ed Europa se la Cina raggiunge un accordo. I limitati benefici per gli Stati Uniti comporterebbero costi elevati anche per alcuni partner commerciali molto stretti, in particolare per il Canada, il Messico e diverse economie del Sud-Est asiatico, per le quali le esportazioni verso gli Stati Uniti costituiscono una quota significativa del PIL".

E quale potrebbe essere l’impatto sull’Italia?

"Sempre secondo le stime, l’Italia non risulta tra le economie più colpite. Questo è legato al fatto che è vero che l’Italia esporta tanto, ma è un 10 per cento delle merci ad avere come destinazione gli Stati Uniti. La perdita di benessere stimata è contenuta, intorno allo 0,2%, mentre la riduzione dell’occupazione si aggira sullo 0,1%".

Ci sono settori più esposti?

"Più che di settori parlerei di imprese più esposte: sono quelle che hanno quasi esclusivamente clienti americani".

Qual è lo scenario peggiore, che dovremmo scongiurare?

"Quello in cui tutti i Paesi continuano a mettere dazi su dazi, non raggiungono accordi e si isolano completamente".

Un’indicazione per l’Unione Europea?

"Se gli Stati Uniti trovassero un accordo con la Cina, e tornassero a commerciare come prima, l’Unione Europea sarebbe in una posizione peggiore: converrebbe anche a noi trovare un accordo a quel punto, altrimenti potremmo perderci solo noi".

A che condizioni trarrebbe invece vantaggio?

"L’Europa trarrebbe vantaggio solo se gli Stati Uniti riducessero i dazi al 10% all’Unione Europea e a tutti i Paesi del mondo ma non alla Cina".

A che conclusione siete arrivati?

"I dazi così, come sono stati introdotti, non sono comunque stati strutturati in modo ottimale per massimizzare i guadagni in termini di scambi commerciali, riscossione delle entrate e riduzione del deficit commerciale. Abbiamo calcolato che un dazio progettato in modo ottimale avrebbe dovuto prevedere un’aliquota uniforme di circa il 19% applicata equamente a tutti i partner commerciali. Un dazio così non discriminatorio avrebbe infatti praticamente raddoppiato i guadagni in termini di benessere per gli Stati Uniti, generando al contempo maggiori entrate e ottenendo maggiori riduzioni del deficit commerciale, sempre a patto che nessun Paese rispondesse con ritorsioni. Certamente però, in questo caso, applicandosi in modo uguale a tutti i Paesi, non avrebbe risposto alla volontà di determinare un nuovo ordine politico commerciale nell’economia globale".

Questo studio può essere una bussola per i decisori, in uno scenario geopolitico così complesso?

"Penso possa funzionare da deterrente. La guerra tariffaria che deriva da dazi e contro-dazi, costituisce un perfetto esempio del “dilemma del prigioniero”, nel quale tutte le parti coinvolte escono danneggiate. Il commercio globale in percentuale del PIL si contrarrebbe di circa l’11% e l’occupazione mondiale diminuirebbe di circa l’1,1%. Insomma, con la guerra dei dazi gli Stati Uniti potrebbero anche ridurre seppur modestamente il loro deficit commerciale ma solo a un costo economico elevato per sé stessi e per i loro partner".