
Mentre l’impasse sul debito Usa affossa le borse di tutto il mondo, l’incognita sulle prossime mosse della Fed rendono tutto più incerto.

Dai verbali, appena pubblicati, relativi alla riunione del 2 e 3 maggio scorsi, durante la quale la banca centrale americana ha deciso di portare i tassi nella forchetta compresa tra il 5 e il 5,25%, emerge che i membri del Fomc, l’organismo che definisce la strategia di politica monetaria, si sono spaccati sulle stretta.
Alcuni di loro spingono per ulteriori rialzi per frenare l’inflazione, ma sono numerosi quelli che, invece, vorrebbero mettere in pausa uno dei cicli di aumento del costo del denaro più aggressivi di sempre, con dieci incrementi consecutivi da marzo dell’anno scorso.
A determinare l’incertezza sulle decisioni del prossimo vertice del 13-14 giugno, sono i timori per una stretta creditizia, innescata dalle difficoltà del settore bancario, coinvolto in una serie di fallimenti di piccoli istituti regionali negli ultimi mesi.
Ma, a far propendere per non abbassare la guardia, è soprattutto un’inflazione ancora appiccicosa e un mercato del lavoro che rimane tonico. Trovare un bilanciamento tra i diversi fattori in gioco non sarà facile. Anche perché lo staff della Fed prevede una lieve recessione nel 2023, che potrebbe essere aggravata da un mancato accordo sull’aumento del tetto al debito americano.
Certo, nell’ultima riunione, il rialzo dei tassi è stato votato all’unanimità, mentre è stato escluso un possibile taglio del costo del denaro nel corso di quest’anno. Eppure, sono in molti tra i membri del Fomc ad auspicare una pausa durante il prossimo vertice, anche per valutare l’evolversi della situazione, usando il faro dei dati, più aggiornati, su inflazione e disoccupazione in arrivo. “Diversi partecipanti hanno notato che se l’economia si è evoluta sulla falsariga delle loro attuali prospettive, allora potrebbe non essere necessario un ulteriore consolidamento della politica dopo questo incontro”, si legge nel verbale.
Tuttavia, alcuni funzionari ritengono che “un ulteriore rafforzamento della politica sarebbe probabilmente giustificato nelle riunioni future” dal momento che i progressi per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% della banca centrale potrebbero continuare a essere “inaccettabilmente lenti”.
Sul punto, sebbene gli aumenti dei prezzi abbiano mostrato segni di moderazione negli ultimi mesi, i cali sono stati più lenti di quanto previsto, con i membri della Fed preoccupati che la spesa dei consumatori possa rimanere forte e, quindi, alimentare l’inflazione. Alcuni, invece, hanno sottolineato che condizioni di credito più restrittive potrebbero rallentare la spesa delle famiglie e smorzare gli investimenti delle imprese. Come detto, una fonte di preoccupazione per il governatore Jerome Powell e colleghi è il rischio che non si giunga a un accordo sull’aumento del tetto al debito Usa, che limita la quantità di denaro che gli Stati Uniti possono prendere in prestito.
Se l’asticella non dovesse venire alzata entro il primo giugno, Washington potrebbe non essere in grado di far fronte alle spese, comprese quelle relative al rimborso dei titoli di Stato e al pagamento degli interessi, con la conseguenza di un default. Molti membri hanno affermato che è “essenziale che il limite del debito venga innalzato in modo tempestivo”, per evitare il rischio di danneggiare gravemente l’economia e scuotere i mercati finanziari.
Intanto, le prossime mosse della banca centrale sono avvolte nella nebbia. “Se dovremmo aumentare o saltare (un rialzo dei tassi, ndr) durante la riunione di giugno dipenderà da come arriveranno i dati nelle prossime tre settimane”, ha detto in un discorso mercoledì Christopher Waller, membro del board della Fed.