Expert System, da un garage alla Silicon Valley «Noi, i pionieri dell’intelligenza artificiale»

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«Se lo puoi sognare lo puoi fare». Per Enzo Ferrari, detto il ‘Drake’, mai più frase fu veritiera, lui che ha dato vita alle auto più famose del pianeta. Ma in terra modenese i pionieri del futuro sono di casa e avventurandosi nella storia di un’azienda ormai internazionale come l’Expert System, si può scoprire che perseverare e credere nel proprio talento può portare molto lontano, addirittura nella terra di Google e Microsoft. Nata trent’anni fa in un garage della periferia di Modena, tre amici capeggiati dall’attuale amministratore delegato, nonché socio fondatore, Stefano Spaggiari (nella foto tonda), hanno dato vita ad un’epopea che li ha portati a sfondare dove nessun italiano era mai arrivato con così tanta forza: la Silicon Valley. Tecnologia semantica ed intelligenza artificiale sono il pane quotidiano di Expert System, il cui quartier generale – nonostante svariate sedi in giro per il mondo, con oltre 200 dipendenti complessivi – è rimasto a Modena.

Spaggiari, quando e come arrivò la vostra intuizione 30 anni fa?

«Partì tutto da un garage di periferia che prendemmo in affitto. Io, Paolo Lombardi e Marco Varone, eravamo tre compagni di università che volevano realizzare i loro sogni nel mondo della tecnologia. Già a quei tempi pensavamo all’intelligenza artificiale. Dovevamo sopravvivere e guadagnare qualcosa, senza però dimenticare dove volevamo arrivare. Ci eravamo dati così due turni: il primo dalle 9 alle 18 in cui facevamo qualsiasi cosa per arrivare a reddito, come per esempio creare software per conto terzi e sistemare hardware, poi dalle 18 a mezzanotte scattava il secondo momento della giornata in cui sviluppavamo i nostri programmi».

Poi è arrivata la svolta e avete contattato nientemeno che Microsoft, giusto?

«Proprio così. Tra il ‘92 e il ‘93 perfezionammo quello che era il primo correttore grammaticale per la lingua italiana su un computer. Sapevamo che dentro word e il pacchetto Office non c’era nulla del genere, quindi nella nostra incoscienza giovanile decidemmo di contattarli. Ricordo che spedimmo i floppy disk via posta e circa un mese dopo fummo contattati. Quello fu l’inizio del tutto, il momento in cui potemmo lasciare il nostro garage».

Cosa accadde dopo?

«La sfida successiva fu quella di trasformare il software in una vera analisi dei testi a 360 gradi. Da lì nacque la nostra specializzazione nell’intelligenza artificiale che ci portò alla creazione di ‘Cogito’ nel 2000».

Come spiegherebbe ‘Cogito’ a una persona che non è esperta di informatica come lei?

«’Cogito’ simula la capacità cognitiva di una persona di leggere un testo, capirne il significato, isolare gli elementi che lo compongono come i nomi propri. Il programma è stato sviluppato in moltissime lingue e acquisito successivamente da grandi realtà editoriali come il Corriere della Sera e aziende italiane come Eni e internazionali come Chevron».

Da quel momento vi si sono aperte le porte del mondo, vero?

«Negli anni 2000 ci siamo impegnati ad aggiungere altri lingue a ‘Cogito’ perfezionando altri prodotti che utilizzassero le funzionalità legate alla comprensione dei testi. Io e i miei soci ci siamo posti poi un’altra sfida, confrontarci con la Silicon Valley, per pesare realmente il nostro valore. Se sei un italiano che lavora nelle tre F del ‘Made in Italy’ (Food, Fashion e Furniture) è un conto, un altro se proponi software negli Stati Uniti. Per capirci, andare in America a vendere programmi è come andare a provare a vendere ghiaccio agli eschimesi. Ci è andata bene e tra il 2011 e il 2012 i nostri software sono stati comprati da diverse multinazionali».

C’è stato poi l’approdo in Borsa nel 2014. Nel 2018 il vostro Ebitda ha registrato una crescita del +343% rispetto all’anno precedente. Cosa vi ha spinto a questa ennesima sfida?

«Per proseguire nel nostro percorso di internazionalizzazione servivano tante risorse economiche e assumendo lo status di società azionaria puoi fare anche acquisizioni. Grazie a questa mossa ci siamo trasformati in una società italiana che faceva il 95 per cento del suo fatturato in Italia, in una società che adesso fa i due terzi dei suoi introiti all’estero, con un fatturato di quasi 30 milioni di euro».

Avete appena compiuto trent’anni di vita. Cosa vi tiene così attaccati al territorio di origine?

«La nostra scelta è quella di essere presenti in tutti i mercati del mondo con basi negli Stati Uniti, Spagna, Germania, Inghilterra e Francia, ma vogliamo restare saldamente ancorati al nostro Paese. La factory del Gruppo dove sviluppiamo i software è a Modena, poi abbiamo sedi di ricerca a Napoli e Trento, uffici commerciali a Milano e Roma. Accogliamo e accoglieremo a braccia aperte tutti quei programmatori, giovani e meno giovani, che vogliono venire a Modena per proseguire la nostra sfida. Per anni abbiamo predicato nel deserto e adesso siamo pronti a raggiungere i prossimi traguardi dell’intelligenza artificiale sfidando i colossi del web».

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