
Ex Ilva, Mittal dice no al Governo. Avanza l’ipotesi commissariamento
Il Governo propone di sottoscrivere un aumento di capitale di 320 milioni per l’ex Ilva, ArcelorMittal non accetta. È saltato dopo due ore il tavolo sul futuro del più grande gruppo siderurgico italiano, da mesi a caccia di liquidità. E Palazzo Chigi ha convocato i sindacati per giovedì 11. Per il rilancio dell’acciaieria serve almeno un miliardo: verosimilmente, si apre la strada dell’amministrazione straordinaria, che potrebbe essere richiesta dal socio pubblico grazie ad una norma del decreto 2/2023. Un percorso a cui il gruppo franco-indiano potrebbe opporsi con un lungo contenzioso legale nel tentativo di difendere, per quanto possibile il proprio investimento. Attualmente ArceloMittal detiene il 62% di Acciaierie d’Italia, il 38% è in mano pubblica tramite Invitalia.
La delegazione del governo – composta dai ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti, degli Affari Ue Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, del Lavoro Elvira Calderone – ha proposto ai vertici dell’azienda (era presente il Ceo Aditya Mittal) la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro, così da far salire al 66% la partecipazione del socio pubblico, oltre a garantire la continuità produttiva.
Dopo il no incassato dalla multinazionale, il governo ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale. Il gruppo Arcelor Mittal si era già detto indisponibile per una ricapitalizzazione da 1,3 miliardi necessaria per la sopravvivenza dell’acciaieria pugliese. L’investimento, in quanto socio di maggioranza al 62%, avrebbe dovuto essere di 900 milioni. Ieri Arcelor ha reso ancora più netto il suo rifiuto opponendosi anche a una spesa molto inferiore, che avrebbe avuto lo scopo principale di coprire le perdite accumulate finora.
"L’indisponibilità di Mittal è gravissima, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese", dichiarano in una nota congiunta i segretari generali di Fim-Cisl, Roberto Benaglia, di Fiom-Cgil, Michele De Palma, e di Uilm-Uil, Rocco Palombella. Dall’incontro di giovedì, i sindacati si aspettano dal Governo "una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale". Resta infatti ancora incerto il futuro per i 20mila lavoratori dell’azienda. Al momento sono in cassa 3mila lavoratori di cui circa 2.500 a Taranto, dove prosegue il presidio degli autotrasportatori davanti alla portineria C dello stabilimento che chiedono il pagamento di fatture "scadute" denunciando ritardi "inaccettabili"