Coronavius, Fitoussi: l’Unione europea rischia il suicidio

L’economista francese: senza condividere il debito non si risolve nulla, l’austerità ha creato mostri. "Subito maxi-investimenti pubblici"

L'impatto del virus sull'economia italiana

L'impatto del virus sull'economia italiana

Roma, 10 aprile 2020 - Professor Fitoussi, il dopo-Coronavirus potrà essere l’occasione per un grande piano europeo di investimenti? "O lo è o non lo sarà mai più – è senza se e senza ma la risposta di Jean-Paul Fitoussi, economista francese che ha sempre vissuto e insegnato tra Parigi e Roma –. La scelta è qui e ora, perché se non andiamo in questa direzione, ci condanniamo a un destino di sottosviluppo".

Come dovrebbe essere un possibile programma europeo di investimenti? "Dovrebbe essere un piano di investimenti in beni pubblici, che sono quelli dal cui utilizzo, per definizione, non si può escludere nessuno e che recano valore aggiunto a tutti i cittadini".

Mettiamoli in fila. "La sanità con tutto quello che significa. Le reti infrastrutturali, materiali, come autostrade, porti, aeroporti, e immateriali, come la banda larga. L’educazione e la formazione. Si tratta di beni che hanno un’utilità sociale molto più rilevante dell’utilità economica ma che, a lungo termine, fanno sì che quest’ultima raggiunga la prima. Basti pensare all’istruzione. Se si abbassa il livello della spesa, distruggiamo il capitale umano, che è essenziale per la crescita futura".

Quante risorse andrebbero mobilitate per una missione così ambiziosa? "Il punto non è quante risorse. Dipende dalla qualità. Se c’è la qualità, tutto quello che serve deve essere trovato. Se diciamo che facciamo la rete internet più moderna del mondo, allora metteremo nel progetto tutto il denaro che serve. E così per il trasporto, per la ricerca e via di seguito. Si tratta, insomma, di rovesciare tutto l’impianto della politica economica europea restrittiva degli ultimi trent’anni, che ha prodotto l’azzeramento degli investimenti".

L’austerità europea ha creato mostri? "Gli Stati non hanno avuto più un centesimo per le infrastrutture. Si vede fisicamente, basta girare per le strade. Eppure, l’utilità sociale degli investimenti si vede anche nel funzionamento del settore privato: il costo dei servizi diminuisce e aumenta la produttività per imprese e lavoratori. Se non abbiamo la memoria corta, quando si è investito in infrastrutture, come nel Dopoguerra, la crescita è stata anche del 5 per cento in termini reali".

Ma questa Europa, quella che litiga anche in piena emergenza Coronavirus, potrà mai essere capace di mettere in pista un tale programma? "È una nuova delusione, ma me l’aspettavo. L’Europa non si è mai trovata all’appuntamento quando avevamo bisogno di essa. E, dunque, era prevedibile che i Paesi del Nord dicessero no alla mutualizzazione del debito. Ma senza mutualizzare il debito non si risolve la crisi di oggi. E non farlo è un suicidio collettivo".

Perché sostiene che senza uno strumento comune di finanziamento (Coronabond o altro) perderemo tutti? "Perché l’Italia, la Francia, la Spagna arriveranno ad averne abbastanza di questo rigore luterano e potranno decidere di non voler più che a guadagnare da questo assetto sia soprattutto la Germania, che fino a oggi ha tratto vantaggio da esso, come creditore e come produttore, solo perché gli altri Paesi non hanno potuto usare la leva della svalutazione monetaria. Se, infatti, avessero potuto svalutare, la Germania non avrebbe più avuto il surplus commerciale che ha e, anzi, subirebbe tutte le conseguenze recessive di una svalutazione".

Ma questo significa che la crisi è in grado di mettere in discussione anche l’Euro. "Sicuramente. Se non c’è una vera solidarietà, una vera mutualizzazione del debito, o continueremo a andare ancora di più sott’acqua o facciamo qualcosa di politicamente scorretto ma inevitabile: dire basta e uscire".

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