Mercoledì 24 Aprile 2024

Moneta unica, affare solo tedesco. Ogni italiano ha perso 73mila euro

Lo studio del think tank tedesco Cep indica chi ha guadagnato (e chi ha perso) dall'introduzione della moneta unica. Il parere del prof. Daveri

Banconote da 100 euro

Banconote da 100 euro

Milano, 26 febbraio 2019 - Ultimi. E più poveri in Europa. È quanto emerge dal rapporto ‘20 anni di Euro: vincitori e vinti’ del think tank tedesco Cep (Centre for European Policy) sull’impatto della moneta unica sull’economia dei paesi europei. Dall’entrata in vigore dell’euro (1999 al 2017) l’Italia ha perso 4.325 miliardi di ricchezza, circa 73.605 pro capite. In Francia, le perdite ammonterebbero a circa 3.591 miliardi, 55.996 euro pro capite. La Germania avrebbe guadagnato invece complessivamente 1.893 miliardi, 23.116 euro per abitante. Perfino la Grecia avrebbe approfittato dell’euro, con un guadagno di 2 miliardi, pari a 190 euro pro capite. Secondo lo studio, il problema della competitività tra i vari Paesi dell’eurozona "rimane irrisolto" e "deriva dal fatto che i singoli Paesi non possono più svalutare la propria valuta".

Il prof Daveri: "Colpa dell'assenza di riforme" - di ACHILLE PEREGO

Il rapporto del Cep, il Centro per la politica europea di Friburgo, sostiene che vent’anni di euro hanno fatto guadagnare la Germania e i tedeschi e fatto perdere molti altri Paesi europei, soprattutto l’Italia.

Francesco Daveri
Francesco Daveri

Professore, è davvero così? "Per giudicare lo studio bisognerebbe conoscere più nel dettaglio il modo in cui è stato realizzato – esordisce Francesco Daveri, direttore del programma Mba di SDA Bocconi School of management –. A prima vista si tratta di un rapporto che colpisce ovviamente l’attenzione ma l’analisi sembra un po’ affrettata".

Il motivo? "Perché non è mai così facile fare calcoli basandosi sull’asserzione del ‘cosa sarebbe successo senza’. E nei vent’anni presi in esame dovremmo considerare i tanti fatti accaduti in aggiunta all’introduzione dell’euro. In particolare, l’ingresso della Cina, era il 2001, nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio".

Un fattore che ha pesato negativamente sulla nostra economia? "Non c’è dubbio e neppure le riforme strutturali ci avrebbero salvato da questo duro colpo".

La Germania però ci ha guadagnato, anche con l’effetto Cina. "Perché aveva una struttura produttiva più adatta a confrontarsi con quella cinese. Tanto per fare un esempio, i tedeschi producevano auto e treni e molti altri beni che servivano alla classe media cinese. La nostra specializzazione produttiva, invece, era più simile a quella cinese e abbiamo subito la loro concorrenza – pensi al tessile – nei prodotti low cost".

Lo studio cita, come elemento negativo per l’Italia, la mancanza di riforme strutturali, quelle che ad esempio ha fatto la Spagna. Colpa nostra, allora? "Per fare questo tipo di analisi in modo scientifico bisognerebbe avere un benchmark, un parametro di riferimento. Non è facile però trovare un Paese gemello dell’Italia che non sia entrato nell’euro da confrontare. Allora potremmo fare il confronto con la Spagna e concludere che, avendo loro fatto le riforme e noi no, se la sono cavata meglio. Ma sarebbe un giudizio troppo penalizzante".

Perché? "Perché gli spagnoli, dopo il crollo del settore immobiliare del 2008-2009, sono stati obbligati a salvare il sistema bancario e a varare le riforme strutturali. E hanno sostenuto questi interventi con un maggiore deficit pubblico, potevano farlo essendo entrati nell’euro con un rapporto debito-Pil al 35% mentre il nostro era già al 100%".

Così come, con l’euro, non ha più potuto difendere la competitività delle imprese con le svalutazioni della lira? "È vero. Ma nel mercato comune non sarebbe stata più consentita, soprattutto da parte della Germania, ad alcune economie come la nostra la libertà di svalutare per aggiustare i costi di produzione, Del resto, fare costare di più ciò che si importa e meno ciò che si esporta utilizzando il cambio è come introdurre dazi nascosti".

Non si può dire allora che se avessimo tenuto la lira saremmo stati più ricchi? "L’euro ha reso le cose più difficili se pensiamo all’aumento dell’inflazione subito dopo la sua introduzione perché la conversione non fu monitorata con la sufficiente attenzione e al venir meno dell’arma delle svalutazioni. Ma dovevamo capirlo e fare di più, con le riforme, per modernizzare il Paese. L’euro, però, ha prodotto anche una stagione di tassi bassi che ha favorito i conti pubblici e le imprese. Oltre che proteggerci dalla concorrenza cinese per cui, da soli, avremmo pagato un prezzo ancora più alto".

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