Eni in America per l’energia infinita. "Qui avverrà la fusione nucleare"

Entro il 2030 nei pressi di Boston nascerà lo stabilimento della Cts, di cui il colosso italiano è partner. Descalzi: "Questo è il vero futuro della transizione ecologica, l’impatto geopolitico sarà enorme"

Il cantiere di Devens: l’impianto Spark sorgerà a 40 miglia da Boston

Il cantiere di Devens: l’impianto Spark sorgerà a 40 miglia da Boston

Quaranta miglia a ovest di Boston, tra i boschi di aceri e le torbiere ancora coperti di neve, sta nascendo un impianto che potrebbe segnare una svolta energetica attesa da decenni: il primo impianto per la fusione nucleare che produce più energia di quanta ne consumi – ben dieci volte di più – e che metterà a disposizione un’energia infinita. A realizzarlo è Cfs (Commonwealth fusion systems) uno spin off del MIT nel quale Eni ha investito dal 2018 e del quale è partner strategico, controllandone poco più del 19% del capitale.

Nel settembre 2021 Cfs ha prodotto il magnete superconduttivo più potente del mondo, essenziale per contenere il plasma della fusione: è stata una svolta che ha innescato un’accelerazione formidabile. Cfs sta infatti realizzando – con un investimento di 800 milioni di dollari – l’impianto Spark che sarà pronto nel 2025 e che dovrà dimostrare che la fusione a confinamento magnetico funziona e ha un bilancio energetico positivo, per poi lavorare al primo impianto commerciale in grado di immettere energia in rete, denominato Arc, e che punta ad avere pronto nel 2030. Tempi strettissimi.

"Per Eni questo progetto significa il futuro – dice l’amministratore delegato Claudio Descalzi che ieri ha firmato con Cfs un accordo di cooperazione, con l’obiettivo di accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione –. Vedremo realizzata la prima centrale elettrica di Cfs basata sulla fusione a confinamento magnetico all’inizio del prossimo decennio, avendo poi davanti a noi quasi vent’anni per diffondere la tecnologia e raggiungere gli obiettivi di transizione energetica al 2050". "Avremo grandi quantità di energia a basso costo, prodotta in maniera sicura e senza emissioni di gas serra – sottolinea – e l’impatto geopolico sarà enorme, nessuno potrà ricattare nessuno. L’energia sarà come l’ossigeno, disponibile a tutti. E questo è rivoluzionario".

Il 2025 è dopodomani e il cantiere di Devens è in fermento: 18 mesi fa non c’era nulla, ora sono già stati realizzati in buona parte gli edifici di Spark e tra sei mesi si inizierà a installare il Tokamak, la “ciambella“ di sei metri per sei, pesante 10mila tonnellate che, in strati successivi, avrà all’esterno i magneti superconduttori che lavorano a -250 gradi celsius e che dovranno creare il campo magnetico a 20 tesla che terrà confinato, dopo una camera a vuoto, il plasma che fonderà bruciando a 100 milioni di gradi.

L’impianto avrà una potenza di 100 MW termici e 20 elettrici e funzionerà a deuterio e trizio, componenti estratti dall’acqua. La radioattività sarà assorbita dal muro di 2 metri di cemento che sorge attorno al Tokamak. Le scorie saranno di breve vita (nell’impianto non ci sono uranio, plutonio, torio) e la reazione nucleare sarà interrompibile senza problemi. Quindi niente rischi di incidente nucleare. Se Spark funzionerà, il prototipo successivo, Arc, passerà a una taglia di 1000 WM termici e 400 elettrici, e rispetto a Spark avrà anche un circuito con acqua (o più probabilmente sali fusi) attorno al Tokamak, per produrre vapore che finirà nelle turbine, per produrre elettricità da immettere in rete. Funzionerà? In Cfs e in Eni ne sono convinti. Se la scommessa sarà vinta gli impatti saranno enormi e la sfida della decarbonizzazione, oggi in forte ritardo, potrebbe contare su una tecnologia decisiva.

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