Giovedì 18 Aprile 2024

Energia da fonti rinnovabili: ecco tutti gli ostacoli alla transizione ecologica

Secondo l'Osservatorio sui conti pubblici, a bloccare gli impianti sono soprattutto la burocrazia e l'opposizione delle comunità locali

Parco eolico in provincia di Avellino

Parco eolico in provincia di Avellino

Milano - Procedimenti intricati, interferenze tra enti diversi nell’iter autorizzativo, opposizione da parte delle comunità locali. Sono questi alcuni dei problemi che riguardano la costruzione degli impianti green. Risultato: in Italia è (quasi) impossibile aumentare la produzione di energia dalle fonti rinnovabili. Un esempio su tutti: tra il 2017 e il 2021 per l’eolico sono stati autorizzati soltanto 0,64 gigawatt (Gw) a fronte di richieste per progetti pari 20 Gw. Ma il caso più eclatante riguarda Taranto, dove ad aprile è stato inaugurato il primo parco eolico offshore italiano. Il progetto era stato avviato nel 2008 ed è stato ostacolato da vari enti pubblici, tra cui la Soprintendenza che lamentava l’impatto visivo dell’opera. Soltanto adesso, dopo 14 anni trascorsi tra autorizzazioni, dinieghi e ricorsi, è entrato finalmente in funzione.

Certo, negli ultimi tempi qualcosa, sul fronte delle semplificazioni, si è mosso. Ma sembra ancora troppo poco, almeno secondo una nota dell’Osservatorio sui conti pubblici (Ocp). Per raggiungere l’obiettivo europeo che prevede per il 2030 una riduzione delle emissioni del 55% rispetto al livello del 1990, infatti, all’Italia occorre una produzione di 70 Gw da fonti rinnovabili, al momento ferma a 33 Gw. Considerato che negli ultimi sette anni sono stati installati impianti per 5,6 Gw, di questo passo ci vorranno 45 anni. Nel 2030, invece, “si raggiungerebbero solo 40 Gw”, scrive l’Ocp. Per non parlare della neutralità climatica, ovvero emissioni zero, prevista al 2050.

Insomma, la colpa sembra essere in gran parte della burocrazia e delle normative, spesso stratificate, che frenano qualunque iniziativa nel settore delle rinnovabili. Il rischio è che i 70 miliardi di euro destinati alla transizione ecologica dal Pnrr (pari al 31% delle risorse totali) rimangano sulla carta. L’unico modo per evitare di restituire i fondi europei è sveltire gli iter burocratici. Secondo l’Ocp, i motivi che bloccano il settore sono “la non omogeneità delle procedure da regione a regione e da provincia a provincia”, “la durata dei tempi richiesti per ottenere le autorizzazioni”, “la molteplicità degli enti coinvolti nel processo” e “l’opposizione agli impianti dai rappresentanti politici locali e, in generale, dalla popolazione”.

Ma andiamo con ordine. Quando si vuole istallare un impianto, bisogna innanzitutto verificarne la potenza. Sopra una certa soglia, stabilita dalle singole regioni, è necessaria la Verifica di Assoggettabilità (Va) per accertare se un progetto deve essere sottoposto alla Valutazione di Impatto Ambientale (Via). Quest’ultima è un’analisi tecnica che valuta gli effetti dell’opera, sulla salute, sulla biodiversità, sul patrimonio culturale e sul paesaggio. In alcuni casi l’impatto ambientale è presunto e la Via automatica, in altri casi invece è necessaria soltanto dopo che la Va l’abbia richiesta, in altri ancora non serve. La competenza di questi procedimenti è, per certi progetti, dello Stato mentre per altri delle regioni. Queste possono delegare la Va e la Via, anche in parte, alle province.

Ma anche le tempistiche, oltre alla difficoltà di districarsi nelle diverse normative regionali, sono un grosso problema. La Va deve essere completata entro 75 giorni, mentre la Via ne dura al massimo 175 per le opere finanziate dal Pnrr e 360 per tutte le altre. Ma non è finita. La Via infatti è soltanto il primo passo da fare per costruire un impianto. Ad essa segue l’autorizzazione vera e propria che, però, ha diverse varianti. Ne esistono infatti tre tipi. Il primo è l’Autorizzazione Unica (Au), rilasciata dalle regioni o dalle province al termine di un procedimento della durata massima di 90 giorni (calcolati senza contare il tempo necessario alla Via) svolto dalla Conferenza dei Servizi alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate. Poi c’è la Procedura Abilitativa Semplificata (Pas), introdotta nel 2011, che si chiede per progetti al di sotto di un certo livello di potenza e va presentata al comune almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori. Infine, la Comunicazione al Comune, prevista per piccoli impianti per la produzione di elettricità e pompe di calore da fonti rinnovabili.

Come detto le soglie di potenza che determinano l’iter da seguire variano da regione a regione, con ulteriori complicazioni a carico degli imprenditori. In Puglia, ad esempio, nel 2018 servivano in media tre anni per la concessione dell’Autorizzazione unica. Secondo l’Ocp, il tempo richiesto per avviare un impianto rinnovabile è, tra Au, Va e Via, di quasi un anno (75+ 175 + 90 giorni) per i progetti del Pnrr, mentre è di circa un anno e mezzo (75 + 360 + 90) per tutti gli altri. “Inoltre” aggiungono i ricercatori dell’Ocp, “questi termini non sono perentori, nel senso che non vale il principio del silenzio-assenso” con la conseguenza che i tempi possono dilatarsi a dismisura. 

C’è poi il capitolo relativo all’opposizione che molti progetti incontrano da parte delle comunità locali. I comuni, infatti, possono presentare ricorsi nei confronti delle autorizzazioni concesse. Inoltre, fino al decreto legislativo del novembre 2021, “le regioni si limitavano a identificare le aree ritenute “non idonee” a ospitare un impianto rinnovabile” si legge nella nota dell’Ocp. Da ciò, però, non seguiva “che le aree restanti fossero ritenute idonee”, con la conseguenza che “veniva quindi lasciato maggiore spazio alle obiezioni sollevate dai comuni”. Come è avvenuto del resto a Castel Giorgio, in Umbria, dove, nonostante il via libera della regione, l’amministrazione locale si oppone da tempo alla realizzazione di sette turbine eoliche. A partire dall’anno scorso, però, qualche passo verso la semplificazione è stato fatto. Innanzitutto con il decreto del novembre 2021 - che tra l’altro recepisce con vent’anni di ritardo una direttiva europea del 2001 - il quale impone alle regioni di individuare le aree idonee per la costruzione di impianti rinnovabili, sulla base di criteri omogenei in tutta Italia. Tali parametri dovranno essere definiti dal Ministero dell’ambiente entro la fine di maggio e da quella data le regioni avranno sei mesi di tempo per stabilire quali sono le zone “idonee”.

Infine, ci sono i decreti dell’1 marzo e del 5 maggio di quest’anno. Il primo estende le semplificazioni per l’istallazione di impianti fotovoltaici e termici sugli edifici. Il secondo, invece, prevede che il Consiglio dei Ministri possa decidere su progetti di competenza statale nel caso in cui ci siano delle divergenze tra gli enti locali sulla concessione della Via. Se tali provvedimenti riusciranno a sveltire l’iter per la costruzione di impianti rinnovabili si vedrà. Secondo l’Ocp, rimangono comunque delle “incertezze”: il numero troppo elevato di enti coinvolti nelle procedure; la “risoluzione pratica del conflitto tra diversi interessi pubblici”; le “opposizioni politiche da parte di gruppi di pressione che antepongono l’interesse locale all’interesse generale”.